Maurizio Martina - ANSA
Nella complicata geografia interna al Partito democratico, Maurizio Martina è uno dei capofila dei "riformisti per il Sì" al referendum sul taglio del numero dei parlamentari. Ed è convinto che «o vince il Sì, e si potranno poi fare altri cambiamenti», come il superamento del bicameralismo perfetto che definisce «la madre di tutte le riforme», oppure «si sancisce l’irriformabilità del sistema parlamentare italiano».
Una posizione scomoda, onorevole. Chi glielo fa fare?
Scomoda, ma necessaria. Proviamo ad aprire un varco per il ragionamento tra una certa propaganda antipolitica e gli slogan sui pretesi "rischi per la democrazia" connessi alla riduzione dei parlamentari. Rischi che non vedo assolutamente. Prendo a prestito una riflessione di Giorgio Tonini: il riformismo è l’alternativa sia al populismo sia al benaltrismo. Quindi, per rispondere alla sua domanda, lo faccio perché sono convinto che questa riforma, pur con tutti i suoi limiti, sia un passo avanti verso una migliore democrazia decidente.
Termine impegnativo. Una democrazia decidente richiede ritocchi più sostanziosi.
Assolutamente, è un primo passo. Non la dipingerò mai come una riforma epocale, ma penso che sia utile per avere un Parlamento più efficiente, più responsabile e quindi più rappresentativo.
I fautori del No sostengono il contrario, cioè che la riduzione crei un vuoto di rappresentanza.
Io invece sono convinto che diminuendo il numero dei parlamentari possa crescere anche la loro rappresentatività rispetto al territorio che li esprime. Poi è chiaro che, a prescindere dalle leggi, conta la qualità delle persone e sarebbe giusto fare una riflessione su come selezionare la classe politica. Ma io sono convinto che questo passaggio – che ci allinea ai numeri dei Parlamenti maggiormente rappresentativi in Occidente, come dimostra anche lo studio dell’Istituto Cattaneo – possa portare anche in questa direzione.
Il taglio da solo, comunque, non basta. Che cos’altro serve?
Innanzi tutto il pacchetto con i tre correttivi fondamentali di rango costituzionale, già al vaglio delle commissioni del Senato: adeguamento delle rappresentanze regionali per l’elezione del presidente della Repubblica; parificazione a 18 anni dell’elettorato attivo e passivo al Senato e alla Camera; superamento della base regionale delle circoscrizioni senatoriali. C’è larghissima condivisione, si tratta di calendarizzarli e portarli a compimento.
E la legge elettorale?
Il proporzionale con lo sbarramento al 5% mi pare la soluzione più ragionevole, sarebbe bene riaprire un confronto anche con le forze di opposizione.
La soglia di sbarramento è negoziabile?
Il 5% è il punto fondamentale di tenuta. Ciò non toglie che l’impianto si possa migliorare, con un diritto di tribuna o altre soluzioni, per venire incontro ai partiti più piccoli. Mi auguro che già nei prossimi giorni si vada avanti.
Sul referendum il Pd è diviso. Lunedì prossimo si riunirà la direzione per scegliere come schierarsi. Teme per la tenuta del partito?
No, perché un grande partito deve indicare una rotta, pur rispettando le opinioni differenti al suo interno. Il lavoro fatto fin qui presuppone un impegno serio per il Sì.
Se vince il No il governo Conte rischia?
Mi pare evidente il tentativo di diverse forze di utilizzare il referendum contro il governo. Un motivo in più per lavorare a sostegno del Sì.