martedì 13 ottobre 2009
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Forse un kamikaze, forse un incursore solitario che, innescando l’ordigno, non è riuscito a liberarsene in tempo. Ma di una cosa gli investigatori sono convinti: l’attentato, nelle intenzioni dell’autore e per potenzialità, era in grado di uccidere. Un evento senza precedenti nelle prime analisi: il tanto temuto - e spesso scongiurato - gesto isolato, «ma potrebbe anche essere la spia di un innalzamento della minaccia per il nostro Paese, e non solo», dice il direttore dell’Ucigos, il prefetto Carlo De Stefano, dopo aver  presieduto, ieri, una riunione del Comitato di analisi strategica antiterrorismo.Il ministro dell’Interno Roberto Maroni ha convocato d’urgenza il Comitato nazionale per l’Ordine e la sicurezza pubblica, per oggi pomeriggio alle 15.30, presso la Scuola Superiore dell’Amministrazione dell’Interno dove, in mattinata, il ministro era già atteso per partecipare alla prima Conferenza dei Prefetti. «È un fatto grave – dice Maroni –, non mi pare si siano verificati in Italia fatti analoghi in passato».Il ministro della Difesa Ignazio La Russa conferma che non si riesce ancora stabilire «se l’attentatore fosse un potenziale kamikaze o se avesse voluto compiere l’azione senza rimanerne coinvolto. L’esplosivo – ricostruisce La Russa – era contenuto in una cassetta porta-attrezzi che magari poteva lanciare, oppure depositare, e poi andarsene».Ma soprattutto si cerca di capire se l’episodio possa essere stato pianificato. Si parla, per il 35enne libico, di sue frequentazioni del centro di viale Jenner ma, assicura De Stefano, «il nome di Mohammed Game non figura come attivista in nessuna indagine o rapporto, per cui è difficile al momento stabilire se si tratti di un gesto isolato di un fanatico o del disegno di un gruppo integralista», anche se per «gravità e virulenza – conferma – si può ipotizzare che l’obiettivo fosse di provocare vittime»C’è un aspetto, soprattutto, che stato analizzato. «Dalle investigazioni sono emerse conversazioni che riguardavano questa caserma come possibile obiettivo», aveva ricordato a caldo, in mattinata, Francesco Rutelli, presidente del Comitato parlamentare sui Servizi. Il riferimento è all’indagine che nello scorso dicembre portò all’arresto di due cittadini marocchini a Milano. A loro carico una conversazione telefonica, risalente a settembre, in cui la caserma Santa Barbara era emersa come possibile obiettivo di un’azione terroristica. In tutto si parlava, genericamente, di una decina di siti milanesi, caserme di Polizia e dei Carabinieri, anche supermercati. «Tu vai dentro, per esempio in una caserma dei carabinieri e ci sono 10, 15 militari, e se li terrorizzassimo?», diceva uno all’altro. Ma procuratore aggiunto di Milano Armando Spataro escludeva che sia mai arrivata notizia «da qualsiasi fonte, relativa ad un attentato a Milano e in quella caserma». Le sue parole venivano lette come una replica a Rutelli, che però si affrettava a smorzare: «Evitiamo polemiche sul nulla, ho appena avuto un’ottima conversazione con il dottor Spataro». In ogni caso, dice De Stefano, «i differenti contesti ambientali fra i due episodi portano ad escludere ipotesi di collegamenti». Quanto all’ordigno, realizzato con «nitrati liberamente in vendita, fa pensare al fai-da te». «Attenzione, però – dice il sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano – il caso del gesto isolato non tranquillizza. Basti ricordare l’attentatore di 5 anni fa a Brescia, presso un Mc Donald’s. Sarebbe stata una strage, se fosse saltato in aria il serbatoio del gas, che era a pochi passi».
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