«Caro direttore, ma la guerra dei trent'anni non doveva finire con Silvio Berlusconi? Dopo di lui, il tema giustizia non doveva tornare nei binari della normalità?». Marina Berlusconi esce dalla sua abituale riservatezza e entra senza troppi giri di parole nel confronto sulla giustizia. La primogenita di Silvio Berlusconi affida a una lettera al Giornale la propria riflessione che prende le mosse dalla difesa del padre, ma vira con decisione sui temi al centro del confronto in questi giorni.
«Contro Cosa Nostra nessun altro esecutivo ha mai fatto tanto. Ma tutto questo non basta. La lettera scarlatta giudiziaria che marchia l'avversario resta indelebile, gli sopravvive. E il nuovo obiettivo è chiaro: la damnatio memoriae». Poi l'attacco alla «Procura di Firenze» che «ha aspettato giusto un mese dalla sua scomparsa, per riprendere imperterrita la caccia a Berlusconi, con l'accusa più delirante, quella di mafiosità».
Il punto però non è solo il padre, ma anche la riforma della giustizia, divenuta ormai «motivo di scontro frontale, a prescindere dai suoi contenuti», anche se, chiarisce, «spetta solo a politica e istituzioni, nel rispetto del dettato costituzionale, affrontare problemi gravi come questo». «La persecuzione di cui mio padre è stato vittima - prosegue il testo -, e che non ha il pudore di fermarsi nemmeno davanti alla sua scomparsa», segnala che «una sia pur piccola parte della magistratura» finisce per diventare «casta intoccabile e soggetto politico, teso solo a infangare gli avversari, veri o presunti. Un Paese in cui la giustizia non funziona è un Paese che non può funzionare», e poi, è l'amara constatazione, «non m'illudo che, dopo tanti guasti, una riforma basti a restituirci alla piena civiltà' giuridica» c'è da sperare che «chi ha davvero il senso dello Stato debba fare qualche passo importante».
Scontate le reazioni di apprezzamento, specie da centrodestra, ma non solo. Per il segretario Fi, Antonio Tajani, «è un accanimento tornare a dire sempre le stesse cose su mafia e collusioni». Mentre da Iv è Raffaella Paita a dire che quella è «la lettera della figlia ma anche della cittadina, dell'imprenditrice che denuncia lo stato patologico della giustizia in Italia e quel rapporto inquinato che c'è fra certe Procure e certa stampa». Diversa la lettura che arriva dal Pd: «Quanto dichiarato a 'Il Giornale' da Marina Berlusconi contiene una parte che certamente merita rispetto. Ed è quella che riguarda l'affetto intimo e personale di una figlia che vuole difendere la memoria di un padre. Ma, complessivamente, contiene un messaggio inquietante e che si inserisce in una situazione inquietante», dice Walter Verini, capogruppo in commissione Antimafia. «C'è un brutto clima, nel Paese, per quanto riguarda l'impegno contro le mafie e per la legalità - continua il dem -. La responsabilità è del governo, della maggioranza, che hanno indebolito e in certi casi smantellato regole, presidi, controlli».