Per iniziare, una nota terminologica: gli stranieri che si trovano all’interno dei 13 Centri di identificazione ed espulsione (Cie) italiani, «tecnicamente non sono reclusi - spiega Rosario Varriale, capo della segreteria dell’ufficio del Garante dei detenuti del Lazio - ma "trattenuti" e considerati ospiti dello Stato»."Ospiti" che, di fatto , vengono privati della libertà per un periodo che può arrivare fino a sei mesi. Un lasso di tempo lunghissimo, durante il quale trascorrono le giornate nel vuoto e nell’apatia più completa. Nei Cie, diversamente da quanto avviene in carcere, non sono infatti previste attività di rieducazione. «È gente che sta lì pur non avendo commesso nessun reato», osserva Varriale."Ospiti" in attesa, frustrati e inattivi, costretti a vivere in strutture che lasciano molto a desiderare come emerge dal rapporto "Al di là del muro" realizzato da Medici senza Frontiere (Msf) a seguito delle visite compiute nel 2008 e nell’estate del 2009 in vari centri di accoglienza per migranti italiani (Cara, Cie e Cda).Molti "ospiti" dei Cie poi hanno vissuto in Italia per molto tempo, alcuni con casa, famiglia e figli nati nel nostro Paese. (Circa il 50% degli intervistati da Msf era in Italia da più di 5 anni, ndr).
Criticità: TrapaniAperto nel 1998, quello di Trapani è stato il primo Cpt italiano (in seguito all’entrata in vigore della legge Turco-Napolitano, ndr) e, per gli operatori di Msf, è anche il primo che dovrebbe chiudere i battenti. «Non presenta le condizioni minime di vivibilità», spiega Rolando Magnano, vice capo missione Italia Msf. «Le stanze dove dormono gli ospiti del centro sono prive di finestre, l’unico spazio comune a disposizione è un ballatoio cui è stata applicata una recinzione metallica», aggiunge Magnano. Il Cie, infatti ha trovato i suoi spazi all’interno di una ex casa di riposo per anziani: una palazzina a tre piani nel centro di Trapani.
Lamezia TermeAltra struttura per la quale Medici senza frontiere ha chiesto la chiusura è il Cie di Lamezia Terme (Cz) dove l’unico spazio comune è un cortile di 200 metri quadri. «Se tutti gli ospiti decidessero di uscire contemporaneamente avrebbero a disposizione due metri quadri a testa». I Cie di Trapani e Lamezia sono ancora operativi, ma il Governo ha annunciato che entro fine anno quello di Trapani chiuderà i battenti per lasciare il posto a una nuova struttura.
Ex detenuti e rifugiatiIn base a quanto emerge dal rapporto di Msf, circa il 40% degli ospiti dei Cie sono ex detenuti nei cui confronti, si legge nel rapporto, «sarebbe stato possibile procedere all’identificazione nel corso della detenzione». Nel Cie romano di Ponte Galeria (dove attualmente sono in atto lavori di ristrutturazione, ndr) gli ex detenuti rappresentano il 90% degli "ospiti".Ma nei Cie ci sono anche richiedenti asilo che hanno presentato la domanda dopo aver ricevuto un decreto di espulsione e che devono attendere l’esito. «In queste strutture tutti vivono in condizioni di assoluta promiscuità - aggiunge Magnano di Msf - Ex detenuti, persone appena arrivate in Italia, stranieri con permesso di soggiorno scaduto, vittime di tratta e cittadini comunitari». E persino chi, come Mohamed (nome di fantasia), parla con un forte accento siciliano e ha moglie e figli nel nostro Paese.
Nei Cie... per sbaglio«Avevo permesso di soggiorno e lavoravo, sono 15 anni che vivo in Sicilia», la storia di Ahmed è stata raccolta da un operatore di Msf nel Cie di Trapani. Poi la perdita del lavoro, la clandestinità, il fermo da parte della polizia e le lunghe giornate nel Cie. «Fuori c’è mia moglie, che aspetta un bambino e abbiamo un altro figlio piccolo. Non ho mai fatto niente di male, eppure sono chiuso qui».
Moderni lagerNel maggio 2009 persino Berlusconi, aveva paragonato i Cie «a dei campi di concentramento». Un paragone condiviso da Varriale: «Le condizioni quotidiane di vivibilità sono molto discutibili. Ma per certi aspetti un carcere è meglio di un Cie». In prigione infatti i detenuti hanno la possibilità di impiegare il proprio tempo frequentando la scuola o svolgendo attività lavorative, mentre nei Cie non c’è nulla.
«Servono controlli e trasparenza»Assistenza sociale spesso improvvisata, mediazione culturale carente, assistenza sanitaria e regole che variano da Cie a Cie. «Ciascuno è un mondo a sé, tutto è demandato alla buona volontà dei singoli operatori o degli enti gestori», spiega Rosario Magnano. Una gestione ancora emergenziale priva di criteri unici e condivisi, ma soprattutto priva di un organismo di controllo, terzo e imparziale, che possa denunciare le storture del sistema. «Sono le Prefetture a individuare, mediante bando di gara, gli enti gestori dei Cie - spiega Magnano -. E sempre le Prefetture decidono, discrezionalmente, chi far accedere a queste strutture».