Da sinistra: Luigi Di Maio, Giuseppe Conte e Giovanni Tria. Manovra impegnativa (Ansa)
È via via più faticoso per il governo tenere a bada fibrillazioni e tensioni. E non bastano le rassicurazioni e le note informali degli uomini-comunicazione per tenerle nascoste. «Lavoro bello e proficuo, rispetteremo tutti gli impegni con gli italiani, dalle tasse al reddito di cittadinanza. I tecnici dei due Movimenti sono costantemente al lavoro per recuperare sprechi e assicurare riforme necessarie e coraggiose», fa trapelare senza troppi dettagli, alle 21.15, lo staff di Matteo Salvini mentre è in corso da due ore e mezza un complesso vertice a Palazzo Chigi sulla manovra. Trenta minuti dopo, a riunione conclusa, anche Di Maio prova a mettere una pezza sulle difficoltà: «Le scelte devono essere coraggiose. Vanno tagliati tutti gli sprechi, tutti i rami secchi, vanno recuperate le risorse che oggi vanno nella direzione sbagliata».
In realtà, nonostante il premier Giuseppe Conte parli di un clima di «totale armonia», i segnali che le cose non sono andate in modo perfetto sono diversi. Il fatto stesso che si torni a parlare di lotta agli sprechi vuol dire che non si riesce a spostare il ministro dell’Economia Giovanni Tria dalla soglia dell’1,6 per cento di deficit. Anche il richiamo alle risorse «mal utilizzate» fa pensare ad uno spostamento di soldi da una misura all’altra, rimettendo in discussione gli 80 euro di Renzi, le agevolazioni fiscali e altri capitoli di spesa difficili da toccare senza creare forti malcontenti e dubbi. Insomma la dote è bassa e possono far gola, in questo contesto, anche i 600 milioni che si libererebbero se naufragasse la candidatura italiana alle Olimpiadi 2026.
Dentro Palazzo Chigi, negli istanti in cui Salvini per primo decide di placare le attese esterne, il clima è però nervoso. La riunione, iniziata alle 18.45 e conclusasi tre ore dopo, tarda a dare un minimo di sintesi. Le formulazioni finali sono vaghe». D’altra parte l’intera giornata aveva orientato il vertice serale verso una china difficile. Il vicepremier M5s Luigi Di Maio, anche per reagire all’avvicinamento tra Lega e Forza Italia, aveva messo sul tavolo due condizioni pesanti: «Noi non voteremo mai un condono», ha detto a proposito della "pace fiscale" caldeggiata dal Carroccio, che nelle ultime elaborazioni ha iniziato a somigliare sempre più ad un vero e proprio colpo di spugna. La «pace» tra lo Stato e i piccoli imprenditori e le famiglie è nel contratto, spiega Di Maio, non la riedizione della "voluntary disclosure" o la strizzatina d’occhio a chi ha nascosto patrimoni ingenti, sino a un milione di euro. Non è la sola dura impuntaura del leader 5s, che vedendosi contrastato dal Carroccio sull’ipotesi della pensione di cittadinanza a 780 euro, alza il tiro: «È nel contratto». In effetti, Salvini conferma.
Il nervosismo pentastellato condiziona il vertice. E viene accentuato da un quadro che non è esplicito, ma si percepisce. Salvini vorrebbe fare di più, ma non è così combattivo verso il ministro del Tesoro Giovanni Tria. Insomma, per la Lega la manovra non significa politicamente ciò che significa per M5s. Ma ciò che rende tutto più complicato, per Di Maio, è vedere che anche Conte, giorno dopo giorno, sposta il suo asse verso Tria. Il premier accentua la propria autonomia dal Movimento: il caso emblematico è Genova, dove il premier non intende rinunciare alle sue prerogative. Conte lancia avvertimenti chiari ai due vice anche sulla nomina del nuovo presidente Consob, e ribadisce il proprio ruolo centrale nella scelta dei vertici dei Servizi segreti. In alcuni momenti, sebbene in modo felpato, il vertice sembra un "uno contro tre", dove ad apparire isolato è il vicepremier Luigi Di Maio.
La quadra sulla manovra è, insomma, ancora lontana. Il deficit all’1,6 per cento è l’ostacolo tecnico che si frappone al ricco menu M5s-Lega, da quota 100 al reddito di cittadinanza sino alla flat-tax. Ma ora ci sono anche gli ostacoli politici, la ricomparsa di una vera e propria competizione tra i due partiti di governo. Al punto che in assenza di un’intesa-quadro su come affrontare il caldo autunno finanziario, M5s è pronto a mettere nel freezer i due decreti su sicurezza e immigrazione che Salvini vuole dare in pasto all’opinione pubblica per prolungare la sua personale luna di miele con il Paese.
Momento delicato, dunque. Il premier e Tria sono costretti a mettere in preventivo un "piano B", una sorta di "manovra minima" che si limiti a scongiurare l’aumento Iva e a fare poco altro, vincolando M5s e Lega alla responsabilità per evitare attacchi speculativi. È un’ipotesi ma è anche una minaccia. C’è ancora una settimana di tempo, sino alla presentazione della Nota di aggiornamento del Def sarà trattativa a oltranza. Tecnica e politica.