Gentiloni e Renzi durante l'assemblea del Pd (Ansa)
L’operazione-cerino, in qualche modo, è riuscita: «Se ne sono andati loro rinunciando alla possibilità di prendersi la leadership nell’unico modo possibile, le primarie». Matteo Renzi non vede gli spiragli che vedono, tra gli altri, Guerini, Fassino, Richetti. Considera le loro parole «di maniera», niente di più. Ora l’obiettivo politico, semmai, è accorciare l’agonia della separazione, mettersi tutto alle spalle nel più breve tempo possibile. Le liturgie della politica e del partito non aiutano, dato che la frattura formale, presumibilmente, si consumerà nell’arco di 7-10 giorni, non prima. Il punto è che Renzi è già oltre. Si rende conto che il contraccolpo ci sarà. Prende atto pure del fatto che il sogno del 40 per cento diventa ora un semplice miraggio. Ma «tant’è», ragiona, «ora dobbiamo impegnarci a costruire un partito nuovo», a mettere in piedi «un progetto che guarda al medio periodo».
Anche perché i prossimi governi, molto probabilmente, saranno di larghissime intese e di respiro non lunghissimo. L’altro obiettivo è far sentire a casa quei tanti dirigenti nazionali e locali di sinistra che non seguiranno Speranza, Emiliano e Rossi, che non andranno nel nuovo movimento di Bersani e D’Alema. Ai capicorrente rimasti ancorati al progetto dem - Franceschini, Orlando, Martina, Cuperlo - Renzi deve dimostrare che è valsa la pena di restare. I tempi del Congresso, dunque, non subiranno nessuna accelerazione violenta, e le primarie si terranno comunque a fine aprile - inizio maggio. Il corollario è che la prima finestra per il voto sarà settembre e non giugno. Nei numerosi contatti tra Renzi e Gentiloni, di questo aspetto si è parlato più volte: l’attuale premier ha ottenuto rassicurazioni sul fatto che non avrà intralci elettoral-politici durante la difficile trattativa con l’Europa sulla manovrina e non sarà un padrone di casa dimezzato durante i due vertici internazionali di fine marzo a Roma (60 anni dai Trattati Ue) e di fine maggio a Taormina (il G7 con Trump).
In fondo, quando Guerini dice di credere ai «miracoli», si riferisce ad un solo aspetto della vicenda: quando la minoranza in uscita capirà che davvero Renzi non vuole il voto a giugno, allora potrebbe decidere di rientrare in extremis e giocarsi le proprie carte internamente al Pd. «Il governo è molto più in pericolo con la scissione che senza», avverte il vicese- gretario dem con un ragionamento che è estremamente chiaro e crudo. Il segretario dimissionario oggi pomeriggio non sarà presente alla Direzione dem, e in qualche modo la sua assenza era pensata anche per non esacerbare ulteriormente gli animi. Tuttavia nemmeno i bersaniani ci saranno, in qualche modo confermando che tutti hanno già deciso quale sarà il loro futuro. In sostanza, si lavora solo per provare a tenere dentro Emiliano. Ma è questa una faccenda che non riguarda Renzi. Lui non sta partecipando alle ultime trattative. Anzi, ne è distante anni luce. La sua testa è tutta al nuovo libro in uscita e alla convention del rilancio, il 10-12 marzo al Lingotto di Torino quando presenterà il nuovo programma scritto in tandem con Tommaso Nannicini. Con un Congresso che si annuncia a bassa intensità, con primarie che non avranno appeal a meno di non costruire una candidatura di minoranza intorno ad Andrea Orlando, Renzi dovrà e potrà riempire la scena con i contenuti. E, nel nuovo quadro politico, cercherà di caricare su di sé parte di quella 'svolta a sinistra' che Bersani e D’Alema perseguiranno costruendo un altro soggetto.
C’è da attendersi, insomma, un Renzi più 'sociale' e meno 'liberal'. La certezza che non si voti a giugno è data anche da un altro elemento: in nessun modo Renzi - e su questo punto Mattarella è stato, e sarà ancora, chiaro - può intralciare il tentativo che il Parlamento farà per armonizzare e migliorare gli attuali sistemi di voto per Camera e Senato. Solo dopo il G7 si prenderà atto delle innumerevoli fumate nere e allora si procederà con lo scioglimento delle Camere. Il rischio di questo timing, Renzi ne è consapevole, è esporsi alle critiche di M5S su una convocazione delle urne a settembre avvenuta solo e unicamente per far percepire il vitalizio ai nuovi parlamentari. Quando l’ex premier dice di «aver concesso anche troppo» rispetto alle richieste della minoranza, si riferisce proprio a questo scotto da pagare. Per un bel po’ di settimane, quindi, si vivrà in una sorta di paradosso: il Pd e la 'nuova sinistra', divisi in tutto, sosterranno insieme ai centristi il governo Gentiloni, come se nulla fosse accaduto. Per Renzi è comunque un tempo da ottimizzare. In vista di elezioni col proporzionale e delle successive necessarie intese per formare un governo, l’ex premier presserà Giuliano Pisapia perché non faccia squadra con gli 'scissionisti' e resti aperto, con il suo Campo progressista, a un’intesa programmatica con il Pd. Renzi è disposto a concedere posti in lista alla Camera e un accordo di coalizione al Senato.