sabato 12 febbraio 2011
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Quando negli anni Novanta me ne andavo in giro per l’Europa, a Stoccolma piuttosto che a Bruxelles, per il mio lavoro di ricercatore, la sera, entrando in albergo, accendevo la tv per un po’ di notizie e di compagnia, come fanno tutti: la sensazione di vivere in un altro mondo si faceva allora palpabile. Già, perché invece di donnine sgambettanti e presentatori sbercianti ascoltavo toni distesi e pacati; gradevoli signore normali, sobrie mi sorridevano dallo schermo parlando lingue magari incomprensibili (il norvegese o il fiammingo sono lingue complicate, si sa) ma il loro tono di voce incontrava perfettamente le aspirazioni della mia anima, invitando all’equilibrio e alla misura. Insomma, la televisione rimandava l’immagine di un mondo che, a dispetto della lingua straniera, era per me molto più familiare di quello che vedevo in tv. In Italia.Era familiare perché era (è) una televisione fatta di persone, uomini e donne, simili a quelli della realtà, e non invasa da imbonitori e donne costruite in sala chirurgica, vestite come per un harem .O meglio, una televisione che se “ospita” un po’ di questa fauna non se ne fa invadere e snaturare. È vero, la televisione è ormai fatta di format internazionali: ma – non si capisce perché – da noi vengono declinati sempre secondo la massima espressione della volgarità. E si potrebbero fare esempi concreti di questa declinazione al peggio tutta italiana dei suddetti format internazionali, peraltro in alcuni casi sanzionati dall’Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni, cosa che non faccio per non rimestare nella melma.Siccome le idee migliori ai ricercatori vengono per caso, come si dice, sotto la doccia, mi misi in testa allora di trovare finanziamenti in Europa (cosa che andò in porto, vincendo un regolare bando europeo) per fare una grande ricerca sulla televisione nel Vecchio Continente, con lo scopo specifico di capire:a) se la mia fosse stata solo un’impressione o se davvero le donne negli altri Paesi europei fossero rappresentate in maniera più rispondente alla realtà; b) se questo dipendesse da norme e regole o da un atteggiamento culturale diffuso, dei produttori televisivi come dei telespettatori. O, meglio ancora, se l’interazione in qualche modo virtuosa tra produttori “civili” e cittadini consapevoli fosse all’origine di un modo diverso di trattare le donne in tv.Da quella ricerca nacque un Libro Bianco del Censis per l’Unione Europea che ha fatto il giro del mondo e numerose interviste con giornaliste straniere che continuano a chiedermi da anni, con mio grande disappunto, se in Italia le donne sono tutte “donnine allegre”. In questi ultimi tempi ho registrato con piacere che quello studio è diventato materia viva di consapevolezza e presa di coscienza per molte belle figure di donne della società civile italiana, della politica, della cultura impegnate su questi temi .(Come nel caso dell’"Appello Donne e media", promosso da una rete nazionale di donne provenienti da diversi ambiti della società civile, che ha avuto il sostegno e l’approvazione del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano).Ma insomma qual è stato poi il risultato di quello studio? È stato che sì, non mi ero ingannata, davvero le donne sono rappresentate in un modo diverso in gran parte delle televisioni europee; e sì, questo avviene perché gli altri Paesi si sono dotati da molti anni di norme, codici di autoregolamentazione, buone pratiche di sensibilizzazione, Osservatori permanenti a livello governativo, campagne di comunicazione, specifiche Authorities, che mirano a promuovere un’immagine della donna rispettosa della sua dignità, della sua pluralità, della sua verità; di quella crescita negli studi, nel mondo delle professioni, nelle arti, nella ricerca scientifica che ha saputo raggiungere, con molta fatica, negli ultimi decenni.Il Libro Bianco del Censis ha evidenziato che tutto questo è stato avviato molti anni addietro in tanti Paesi europei da editori moderni, giornalisti influenti, produttori illuminati, politici onesti. Ma, anche, da una società civile forte, colta, organizzata.Quello che intendo dire è che non bisogna scoraggiarsi, il problema dell’Italia è che stiamo appena cominciando a capire che esistono diritti di cittadinanza che investono il mondo della comunicazione, della “identità sociale” delle persone, che attengono alla tutela della dignità dell’individuo e del rispetto che a esso si deve, uomo o donna che sia .E non si vengano a sciorinare le vecchie litanie sullo spostamento del senso del pudore, sull’esigenza di evitare i facili moralismi ,un politically correct estraneo alla nostra cultura, o forme di veterofemminismo: sono argomentazioni di comodo che cercano di frenare la nascita di una sensibilità moderna e trasversale, che non appartiene a una singola cultura, ma ai diritti umani nella loro universale validità. Lo dimostra il fatto che intorno a questa nuova sensibilità stanno convergendo leader e donne politiche di diversa estrazione e formazione: in effetti, si tratta “solo” di una battaglia di civiltà, rispetto alla quale, mi ripeto, uomini come il capo dello Stato hanno espresso il loro incondizionato sostegno. Ma non si tratta di questione che interessa solo le donne e gli uomini “illuminati”.Sono tante le pubbliche prese di posizione espresse dalla Chiesa e dal mondo cattolico: dal cardinal Bertone al cardinal Bagnasco e al cardinal Vallini fino allo stesso papa Benedetto che hanno sottolineato nei giorni scorsi in occasioni diverse l’urgenza di «ritrovare un’anima», una morale, radici spirituali e morali nella vita pubblica e in quella personale. Un richiamo alla sobrietà e al decoro espresso a chiare lettere anche da questo giornale e dalle diverse voci della stampa cattolica.Del resto, come ci si può lamentare se tanti nostri adolescenti e nostre adolescenti sono disorientati, praticano un inquietante precocismo sessuale, triste e meccanico, quando sono bombardati da tutti i media da una sessualità deragliata, confusa, volgare?E non ci vengano a raccontare che presentare donnine seminude è un modo per esaltare la bellezza femminile (come – ahimè – capita da anni nelle plenarie del Comitato Media e Minori ogni volta che i rappresentanti dei telespettatori cercano invano di arginare questa marea di volgarità da vecchissima caserma e i rappresentanti delle emittenti parlano della necessità, ormai, di essere più spregiudicati e permissivi).La bellezza della donna si può esaltare in tanti modi. Esiste la bellezza dell’intelligenza, magari di due occhi di donna dietro la mascherina da neurochirurgo. Esiste la bellezza dell’armonia, magari nel virtuosismo di una danzatrice professionale. Esiste la bellezza del coraggio, magari nell’espressione volitiva di una donna avvocato che si batte per difendere i deboli. Esiste la bellezza della saggezza, nel sorriso di una filosofa, di una scienziata, di una donna di Dio o semplicemente di una donna in età avanzata.Le donne non sono fantocci di carne di una cupa e funebre fantasia erotica da maschio in declino. E anche se vogliamo buttarla sull’erotico, ma, per favore, ricordiamoci che esistono infiniti, straordinari e personalissimi codici per esprimere erotismo piuttosto che non gli schemi fissi dei bagaglini o dei drive in. E, ci auguriamo, che gli italiani di fantasia d’amore ne abbiano tanta e assai più intima e originale.Ci dispiace per quelli che vivono dentro poveri schemi superati, senza immaginazione né autentica disponibilità alla vita, senza libertà vera, che è quella di un pensiero che conosce il limite e si ricorda che l’altro è un essere umano. Gli italiani e le italiane sapranno andare avanti e li abbandoneranno al loro destino.

Elisa MannaResponsabile settore politiche culturali del CensisVicepresidente Comitato Media e Minori

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