ROMA Troppo semplice – e anche sbagliato – il binomio malattie infettive - immigrati. Altrettanto il luogo comune che patologie come Hiv, tubercolosi, epatite o il semplice morbillo siano ormai reminiscenze di un’altra epoca. Colpa del calo drastico delle vaccinazioni – solo per morbillo, parodontite e rosolia ci sono 358mila bimbi non vaccinati nell’ultimo quinquennio – ma anche della mobilità della popolazione nella globalizzazione. Per questo serve mantenere una rete di presidio sul territorio di esperti in patologie trasmissibili, perché non si può mai abbassare la guardia. Ancor più con il rischio bioterrorismo, che torna a far capolino ogni volta che accadono attentati come quelli di Parigi. Inizia smontando molti luoghi comuni il libro bianco sulle malattie infettive presentato ieri a Roma dalla Simit; un’analisi di 150 pagine della Società italiana malattie infettive e tropicali in cui, per la prima volta, viene messo in piedi un programma di ottimizzazione delle risorse pubbliche per creare una rete infettivologica nazionale in grado di fronteggiare le emergenze sanitarie. Uno strumento utile alla sanità pubblica, insomma. Ogni giorno, non solo quando scatta la psicosi epidemie.
Stiamo invece assistendo ad uno «smantellamento del sistema» sulle malattie infettive, è l’allarme lanciato del presidente uscente della Simit Massimo Andreoni, visto che negli ultimi cinque anni i posti letto negli ospedali sono diminuiti del 23% scendendo di 623 unità. In più, «c’è un’epidemia di germi resistenti legati ai ricoveri e alle degenze nelle residenze assistenziali ». A dirlo sono principalmente i numeri. In Italia, infatti, un paziente su dieci si ammala per infezioni correlate all’assistenza e 5-7mila persone muoiono per queste ogni anno, con un costo totale di 100 milioni di euro; un rischio che aumenta del 30% per gli anziani che vivono nelle Rsa.
Fondamentale è soprattutto limitare ai casi strettamente necessari l’uso di antibiotici, sia nei bambini che negli adulti, ma anche spingere sull’acceleratore sulla prevenzione come i vaccini. L’occasione usata dal ministro della Salute per contrastare ancora una volta la «controcultura antivaccinaria» è il messaggio di saluto inviato agli stati generali della pediatria, promossi nella Capitale dalla Società italiana di pediatria (Sip). L’immunizzazione, sottolinea difatti Beatrice Lorenzin, rappresenta «uno degli interventi più efficaci e sicuri a disposizione della sanità pubblica per la prevenzione primaria delle malattie infettive». Queste inoltre, continuano a ripetere gli esperti del Simit, non arrivano certo con i gommoni carichi di stranieri che attraversano il Mediterraneo. «Meno dell’1-2% delle 200mila persone sbarcate quest’anno in Italia e Grecia infatti – è il primo punto fermo messo da Tullio Prestileo, infettivologo dell’ospedale di Palermo – ha una patologia infettiva. Questo catastrofismo è dunque infondato».
Il dato invece «cresce con il passare del tempo di questi uomini qui da noi», questa la novità emersa da un recente studio europeo sull’Aids, in cui emerge che «su tutti i nuovi casi di Hiv tra gli immigrati africani in Italia, il 34% ha contratto il virus nel nostro Paese». Una malattia questa che sta trovando, insieme alla Tbc, una nuova primavera in Italia anche tra i nostri connazionali, con 84mila persone in trattamento retrovirale, un sommerso vicino al 17% e una patologia conclamata che interessa circa 100mila persone. La necessità, perciò, è non abbassare l’asticella del controllo, dell’informazione e della prevenzione. «Nel territorio deve nascere un network di ambulatori per i primi screening sulle malattie contagiose – chiede dunque il presidente Simit Antonio Chirianni – che fungano da presidi di protezione civile nel quotidiano», da «ammortizzatori per falsi allarmi » e siano pronti ad intervenire nelle emergenze. Come nel caso di un attacco batteriologico. «Un rischio molto basso in Italia», secondo il vicepresidente Simit Massimo Galli ammettendo che «non c’è alcuna allerta specifica». Ma, in ogni caso, «noi siamo pronti».
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