martedì 3 dicembre 2013
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Oltre il buio e la morte che ha inghiottito i corpi di sette lavoratori cinesi, c’è una città che è arrivata al punto di non ritorno e cerca di redimersi. Per i peccati di omissione compiuti in questi anni, quando in tanti hanno fatto finta di non vedere il progressivo affermarsi di un distretto parallelo, fatto da migliaia di immigrati in arrivo dall’Asia, pronti ad aprire (e nel caso a chiudere, per poi riaprire) altrettanti laboratori sommersi. Per il silenzio colpevole che ha consumato anche l’ultimo dramma, unendo adesso in un tardivo quanto necessario fronte comune le istituzioni locali, il mondo dell’impresa e i sindacati.Il mea culpa di queste ore accomuna tutti ed è per questo che sono ancora più significative le parole del viceconsole della Repubblica popolare cinese, Yang Han, che da Firenze ha convocato urgentemente ieri sera una riunione con i rappresentanti della comunità cinese di Prato. «Anche noi vogliamo capire quel che è successo – spiega ad Avvenire Han –. Tante volte ci siamo chiesti come porre fine a queste tragedie e siamo consapevoli dei forti rischi che ancora ci sono su quel territorio». Poiché non bastano le parole, per la prima volta il viceconsole di Pechino mette nero su bianco anche due misure concrete per cambiare davvero le cose nelle fabbriche. «Non dovrà più essere possibile dormire negli stabilimenti e andrà separata con nettezza la zona di lavoro dal resto». È dentro agli stabilimenti dimenticati del Macrolotto toscano che si misureranno i buoni propositi dell’appello alla legalità. Per ora, si tratta di segnali che dimostrano una buona volontà sin qui mancata, perché i gesti di ribellione allo sfruttamento sono state gocce in un oceano di illegalità.«Vi prego, ora non lasciate Prato da sola come è accaduto per Lampedusa» chiede il vicepresidente di Cna Prato, Wang Li Ping, uno dei primi imprenditori cinesi ad associarsi con le imprese italiane. Li Ping ha sempre detto che, per far uscire i cinesi dalle fabbriche dello sfruttamento, occorre innanzitutto dare loro una casa e insegnare la lingua italiana. Mirko Zacchei è un giovane sindacalista della Cisl che ha parlato davanti a platee di impresari cinesi del tema più delicato: la sicurezza nei luoghi di lavoro. È andato nelle aziende, negli stabilimenti del tessile, nei ristoranti gestiti da manodopera asiatica. Oggi può dire di «avere ascoltato i cinesi, gente molto pratica, molto concreta. Non è vero che non sono interessati a questi argomenti. Ci sono e fanno domande. È chiaro che non basta, perché sono tantissime le zone grigie nel campo della prevenzione. Però bisogna continuare a seminare buone pratiche e conoscenza».Un’ottantina di piccoli artigiani ha seguito Li Ping e si è iscritto alla Cna, mentre due soli imprenditori, Xiu Qiu Lin e Gabriele Zhang, hanno aderito ufficialmente all’Unione industriali. Nessuno dei due vuole parlare della vicenda tragica di domenica mentre il loro presidente, Andrea Cavicchi, è netto, soprattutto sul tema dei mancati controlli. «Mancano gli ispettori del lavoro, le verifiche sono pochissime in un territorio che nel corso degli anni ha cambiato pelle profondamente» spiega. Per chi è abituato a competere sui mercati di tutto il mondo, soprattutto nella fascia ad alto valore aggiunto, è evidente che l’equazione "Prato uguale a Chinatown" rischia di essere pericolosissima. «Il danno d’immagine è enorme e ora dobbiamo combattere questa guerra tutti dalla stessa parte: noi, i lavoratori, la comunità italiana e quella cinese» continua Cavicchi. La caccia al colpevole non serve a nessuno e, per capire cosa succederà nelle prossime settimane, per il momento occorre affidarsi più alle dichiarazioni d’intenti che a programmi concreti. «È necessario un intervento più deciso del governo, non basta il Patto sulla sicurezza presentato dal ministro Alfano a settembre» spiegano dalla Cna. All’orizzonte si intravede già la prossima scadenza elettorale, che in primavera finirà per dividere di nuovo la città di Prato tra chi predica integrazione e chi vuole repressione. «Ma non è più la stagione dei blitz a sorpresa delle forze dell’ordine, che fanno tanto rumore ma non cambiano nulla» attacca ancora Cavicchi.Di certo la stagione dei rapporti diplomatici sotterranei ha fatto il suo tempo, soprattutto se i risultati non si vedono e le tragedie si ripetono con regolarità disarmante. «Queste sono morti bianche, come quelle della Thyssenkrupp» ha dichiarato al sito <+corsivo>Huffingtonpost.it<+tondo>, Junyi Bai, 32 anni, presidente di Associna. È il simbolo di una generazione nuova, che vorrebbe affrancarsi da un passato ingombrante. La pagina delle fabbriche dormitorio va chiusa al più presto, ma la strada di Prato per arrivare alla redenzione definitiva resta tutta da compiere.
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