La Corte europea dei diritti umani ha condannato l'Italia perché decise di continuare ad applicare il regime duro carcerario del 41bis a Bernardo Provenzano, dal 23 marzo 2016 alla morte del boss mafioso il 13 luglio dello stesso anno, nell'ospedale San Paolo di Milano. Secondo i giudici, il ministero della giustizia italiano ha violato il diritto di Provenzano a non essere sottoposto a trattamenti inumani e degradanti. Allo stesso tempo la Corte di Strasburgo ha affermato che la decisione di continuare la detenzione di Provenzano non ha leso i suoi diritti. Provenzano, relativamente all'articolo 3 della Convenzione, si era lamentato delle cure mediche inadeguate in prigione e della continuazione dello speciale regime di detenzione, a dispetto delle sue condizioni di salute.
In prigione prima a Parma, dove il boss tenta il suicidio, e poi a Milano, Provenzano vede peggiorare le sue condizioni di salute fisiche e cognitive, anche a causa del Parkinson di cui soffre. Tra il 2013, quando inizia a essere alimentato artificialmente, e il 2016 la famiglia chiede la sospensione della pena e la revoca del 41 bis, ma secondo i giudici le cure ricevute a Parma e Milano sono adeguate.
«Quella che abbiamo combattuto è stata una lotta per l'affermazione di un principio e cioè che applicare il carcere duro a chi non è più socialmente pericoloso si riduce ad una persecuzione», dice l'avvocato Rosalba Di Gregorio, legale del capomafia Bernardo Provenzano, aggiungendo che «a noi non interessava e non interessa un risarcimento, ma soltanto l'affermazione di un principio contro prese di posizione assolutamente illegittime».
È secco anche il commento del figlio del capomafia, Angelo Provenzano: «Se lo Stato risponde al sentimento di rancore delle persone, alla voglia di vendetta, lo fa a discapito del Diritto. Questo credo sia ciò che la Corte di Strasburgo ha affermato sul 41 bis applicato a mio padre dopo che era incapace di intendere e di volere».
Le reazioni
«Il 41 bis non si tocca», mette subito in chiaro il titolare della Giustizia Alfonso Bonafede, in relazione alla sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo sul caso Provenzano. «Rispetto questa sentenza ma non la commento», aggiunge il ministro, ricordando che «c'è una lunga storia di confronto con l'Europa ma credo che gli altri Paesi abbiano solo da imparare dall'Italia sulla normativa antimafia».
«Ma scherziamo? La Corte europea dei diritti umani ha condannato l'Italia perché decise di continuare ad applicare il regime duro carcerario del 41bis a Bernardo Provenzano, dal 23 marzo 2016 alla sua morte - è poi il commento su Instagram del vicepremier Luigi Di Maio - Avremmo così violato il diritto di Provenzano a non essere sottoposto a trattamenti inumani e degradanti. Non sanno di cosa parlano! I comportamenti inumani erano quelli di Provenzano. Il 41bis è stato ed è uno strumento fondamentale per debellare la mafia e non si tocca. Con la mafia nessuna pietà».
Non meno diretto l'altro vicepremier Matteo Salvini per cui la condanna della Corte Europea di Strasburgo all'Italia è «l'ennesima dimostrazione dell'inutilità di questo ennesimo baraccone europeo. Per l'Italia decidono gli Italiani, non altri». Anche perché tra l'altro l'Italia viene condannata perché tenne in galera col carcere duro il «signor» Provenzano, condannato a 20 ergastoli per decine di omicidi.
«Si tratta di una sentenza importante, che evidenzia il rischio di automatismi nella riconferma del regime di 41bis», sottolinea il Garante nazionale dei detenuti, Mauro Palma, specificando che il pronunciamento «non condanna l'Italia per le condizioni di
detenzione previste dal 41bis in sé, ma per la riconferma di un regime di 41bis dove non ci siano più i presupposti» in relazione alle condizioni del detenuto.