Il contratto c'è, ora serve un premier (Ansa)
Nel giorno in cui dai rispettivi fronti arrivano due autorizzazioni fondamentali – e a maggioranza schiacciante – per il «sì» alle nozze di governo giallo-verde, Luigi Di Maio e Matteo Salvini decidono di non vedersi. Sono entrambi al Nord, per parecchie ore sono distanziati da pochissimi chilometri, ma i due leader scelgono di limitarsi ai contatti telefonici e concordano nel rinviare ancora di qualche ora lo showdown sulla premiership. Quasi certamente, per un complesso incrocio d’agende, non si vedranno neanche oggi. Si sposta dunque a domani – ultimo giorno utile prima della salita al Colle di lunedì – l’appuntamento decisivo per sciogliere il nodo numero uno. Al vertice della verità ci si sta avvicinando più che tra gli annunciati «passi in avanti» deambulando a fatica. Tra tante incognite e con un accordo di massima che prevederebbe la scelta del capo del governo su indicazione del M5s. A patto che sia un nome diverso da quello di Di Maio.
«Su Luigi il segretario della Lega ha imposto un veto, perché il ruolo di premier gli darebbe troppa visibilità», confidano dallo staff del capo politico del Movimento, dove però non hanno perso la speranza di far cadere l’opposizione. Perché, magari con qualche concessione al fotofinish all’alleato sui ministeri, il 31enne di Pomigliano d’Arco culla ancora il sogno di diventare lui l’inquilino di Palazzo Chigi. Anche se alla luce del sole si tiene ferma la linea del passo indietro: «Se sono io il problema, sono disponibile a non fare il presidente del Consiglio». Segnali di apertura a un premier terzo? «Avrete notizie a breve». Ma alla fine probabilmente Di Maio sarà costretto a defilarsi. Nelle ultime ore avanza prepotentemente la candidatura di Giuseppe Conte, docente di diritto privato a Firenze che doveva diventare ministro della Pubblica Amministrazione in un governo Di Maio. Un profilo che dovrebbe risultare anche gradito al Quirinale. Sullo sfondo resta l’alternativa politica, meno quotata, di Riccardo Fraccaro (fedelissimo del capo politico, al suo fianco ad Aosta e già in passato autore di prove di fedeltà come la rinuncia alla presidenza della Camera).
La scelta di tenere coperta la carta principale fino all’ultimo momento, comunque, sarebbe dettata anche dalla volontà di non infastidire Sergio Mattarella. Difficilmente, infatti, al Colle avrebbero accettato che il nome della figura individuata per guidare l’esecutivo venisse sottoposta a un voto online sulla piattaforma Rousseau o nei gazebo nel weekend prima ancora di essere discussa con il capo dello Stato, a cui spetta il compito dell’incarico.
Comunque al faccia a faccia di domani sia Di Maio che Salvini si presenteranno forti del pieno mandato ricevuto: dagli iscritti il primo e dal consiglio federale il secondo. In particolare c’era attesa nel conoscere i numeri con la base grillina avrebbe dato l’ok al "governo del cambiamento" con la Lega, dopo i mal di pancia esternati sul Web da militanti contrari alla svolta. La votazione online indetta in mattinata, invece, si conclude quasi con un plebiscito: il 94% dei partecipanti (44.796) approva un testo definitivo di 30 punti e lungo 57 pagine. Il via libera della base del Movimento è successivo al pieno mandato incassato nel pomeriggio dal segretario del Carroccio al Consiglio federale.
Alla riunione Salvini presenzia dopo aver fatto visita a Monza a Sergio Bramini – imprenditore "fallito" per debiti non pagati dallo Stato – e ottiene un sì unanime a formare un governo con il Movimento. Non è, tuttavia, un ok privo di condizioni. Nella riunione di via Bellerio, infatti, più di uno avrebbe esortato il segretario alla prudenza, issando tra l’altro un vero e proprio muro contro l’opzione di Di Maio a Palazzo Chigi. Anche per questo, in serata, torna a prendere quota l’ipotesi del premier terzo. In un rapporto che per il momento registra comunque una sintonia di fondo («È molto smart», copyright Di Maio) sul contratto scatta un derby a distanza tra i due contraenti. Ognuno tira l’acqua al suo mulino e si sgola per far notare come il documento finale penda più da un lato che dall’altro.
Ciascun leader esalta le priorità del proprio partito assorbite nel contratto. Il capo politico dei 5 stelle ricorda che i «20 punti» stilati dal Movimento prima del voto sono tutti presenti nel programma di governo. «Abbiamo stravinto –fanno notare dalla cerchia ristretta di Di Maio –. Se si legge la parte sulla giustizia ci sono solo le nostre proposte». Una lettura che non convince il futuro partner di maggioranza: «Amici, nel testo c’è il 90% delle idee della Lega. Vi aspetto ai gazebo. E con il sì, #andiamoagovernare». Chiuso al 100% il programma, non resta che scegliere l’esecutore.