Valorizzato a parole, maltrattato nei fatti. Come (quasi) ogni fine anno il Terzo settore, abituato a ricavare risorse dalle tasche proprie e dei benefattori, si ritrova a respingere gli assalti della politica. È così anche in questo fine 2021, dopo lo 'scivolone' del Senato che, nel decreto fiscale collegato alla manovra, ha approvato la norma per cui - per fare degli esempi - le vendite di autofinanziamento o il caffè all’oratorio saranno ritenuti operazioni commerciali vere e proprie, sia pure esenti da Iva. Era già successo l’anno scorso (esecutivo Conte giallorosso), esattamente negli stessi termini, e nel 2018 (esecutivo Conte giallo-verde, quello con la Lega) col tentativo di togliere le esenzioni Ires agli enti non profit.
Ora ci risiamo, per via di un emendamento (approvato) che era stato predisposto dal senatore leghista Alberto Bagnai, con la motivazione di rimediare a una procedura d’infrazione Ue e - si dice in ambienti parlamentari - anche 'avallato' dal ministero dell’Economia, negli uffici di Fabrizia Lapecorella, direttore generale delle Finanze. E, come un anno fa, ora si sta cercando di porre rimedio. Allo stesso ministero di via XX Settembre si assicura che la questione viene «considerata con la massima attenzione», vista la delicatezza della materia, e rientra fra i dossier in cima alle priorità da affrontare.
Sull’esito finale, però, non ci si sbilancia. Sull’esigenza di cancellare la nuova misura, che vincola enti ed associazioni ad aprire la partita Iva e ai relativi obblighi amministrativi, si sono già spesi esponenti di primo piano come Giorgia Meloni, presidente di Fdi, e Giuseppe Conte, leader di M5s. Malgrado proprio quest’ultimo, come detto, fosse stato protagonista dei due precedenti 'anti-volontariato'. Ed è curioso - e colpisce - il bizzarro gioco delle parti. Nel dicembre 2020 fu il governo di M5s e Pd (più Iv e Leu) a imporre il regime Iva su tutti gli enti di Terzo settore nell’art. 108 della manovra ’21. Fino al clamore e alla successiva retromarcia, che fu salutata con giubilo da Matteo Salvini: «Oggi si elimina un folle obbligo voluto da Pd e compagni – dichiarò il 21 dicembre 2020 – per ubbidire a una richiesta dell’Europa che avrebbe causato danni irreparabili al settore».
Leader di quella Lega che oggi, al contrario, ha presentato l’emendamento che ripropone esattamente quello stesso «folle obbligo». Contro il quale ora si scaglia Conte che 12 mesi orsono, invece, lo aveva messo nella sua manovra. Follie della politica. Che adesso si cerca di sanare. Nel Pd, oltre a Misiani (vedi sotto), è Stefano Lepri ad annunciare «un emendamento soppressivo », probabilmente già nella manovra (il dl fiscale, che va approvato anche dalla Camera entro il 20, è di fatto bloccato). Lepri ricorda che la norma «non porta alcun vantaggio all’Erario », esortando la politica a «decidere cosa fare, dato che sul regime fiscale agevolato per il Terzo settore manca da 3 anni la notifica all’Ue, che poi lo deve approvare». Mentre Alessandra Ermellino, deputata del Misto ed esponente di Insieme, sottolinea che «rischiamo di non riconoscere la specificità di questi enti, che non vanno accomunati ad attività commerciali».