mercoledì 6 luglio 2022
Cade nel vuoto l’apertura per evitare il voto 'blindato'. Il ministro D’Incà (M5s): «Ho sondato tutti i partiti, ma non è stato possibile trovare un accordo». Il premier convoca i sindacati per il 12
Da sinistra, l’ex premier Giuseppe Conte e l’attuale Mario Draghi all’atto del passaggio delle consegne.

Da sinistra, l’ex premier Giuseppe Conte e l’attuale Mario Draghi all’atto del passaggio delle consegne. - Ansa

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E' arrivata l'ora del faccia a faccia tra Mario Draghi e Giuseppe Conte, dopo il rinvio imposto dalla tragedia sulla Marmolada.

I due si incontrano a mezzogiorno, dopo il consiglio nazionale di M5s, con l’obiettivo di un prosieguo più sereno della marcia della maggioranza. Allo stato, però, l’attesa dell’esito dell'incontro (con le relative, possibili concessioni ai pentastellati) continua a generare tensioni e a tenere tutti col fiato sospeso: e di mezzo ci va il 'decreto Aiuti', lasciato nel limbo. Testo che nella sostanza è al sicuro, ma che resta oggetto del pressing 5 stelle per i loro desiderata. Martedì per lunghe ore il premier ha prospettato la possibilità di non porre la fiducia, prima di dare un altro segnale di apertura convocando i sindacati a Palazzo Chigi per il 12 luglio alle 11.

In serata, però, le quotazioni di un voto blindato sono risalite dopo le tensioni attorno al Superbonus 110%. Ma la sola ipotesi di un’apertura verso le richieste di Conte è bastata a mandare in tilt il vertice di maggioranza convocato proprio per discutere il decreto, (sospeso nel pomeriggio e poi ripreso). Ad ogni modo il governo ha optato per il rinvio a oggi dell’esame del testo in Aula. Lo ha chiesto e ottenuto il ministro per i rapporti con il Parlamento, Federico D’Incà (M5s), motivando la scelta con la «necessità di avere ulteriori elementi ». Nello specifico, la ragione del rinvio sarebbe dovuta a una trattativa su un emendamento all’articolo 13, relativo al superbonus. Il nervo scoperto della norma assieme al tetto sul prezzo del gas. L’intenzione era quella di farlo esaminare ieri sera in commissione per porre poi la fiducia (ma con la sicurezza di incassare anche il favore dei grillini). L’intesa sulla misura, però non sembra esser stata raggiunta.

A quanto pare a causa del mancato via libera da parte del Mef e dello stesso esecutivo, con cui ci sarebbero state interlocuzioni per tutta la giornata. Il punto, hanno fatto sapere fonti governative, è che manca l’ok alle relative coperture (si tratterebbe di circa 3 miliardi). Per questo non è stato possibile arrivare a un accordo che avrebbe consentito un voto 'liscio'. «In stretto collegamento con la Presidenza del Consiglio, ho sondato tutte le forze della maggioranza per capire se fosse possibile trovare un accordo per evitare di porre la questione di fiducia sul decreto Aiuti – ha spiegato d’Incà –. Questo si è reso necessario per venire incontro a richieste parlamentari di miglioramento del testo, in particolare nella parte relativa al superbonus.

La complessità politica della vicenda ha imposto il massimo approfondimento e il coinvolgimento dei gruppi parlamentari, determinando un ritardo nell’andamento dei lavori. Con la presidenza del Consiglio valuteremo nelle prossime ore come procedere». A fine giornata comunque non sono arrivate notizie di passi avanti verso un compromesso. La mossa di Draghi, però, ha preventivamente irritato la Lega, assieme a Italia Viva, Fi e i dimaiani di Ipf. Questo per il timore che l’esecutivo concedesse qualcosa ai grillini senza compensare gli altri. «A noi certi favoritismi non sono mai stati concessi, quindi si creerebbe una questione politica grave», è stata la reazione filtrata dal Carroccio. Parole che non sono piaciute al Pd che invece, con Emanuele Fiano, ha ribadito l’impegno per «un’approvazione rapida del decreto», che «contiene misure importantissime per famiglie e imprese. Con serietà e responsabilità – ha aggiunto – il Pd sta operando per superare complicazioni e ostacoli mentre altri, come la Lega, per nascondere le proprie difficoltà inventa divisioni che non esistono».

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