La catena del terrore si è spezzata e i potenziali kamikaze adesso si muovono in ordine sparso. «È come se chi agisse secondo la logica del 'fai da te', com’è accaduto due giorni fa a Milano, si sentisse investito da una specie di missione» osserva Khaled Fouad Allam, docente di sociologia del mondo musulmano all’Università di Trieste e parlamentare della Margherita nella scorsa legislatura. Anni fa scrisse per i tipi di Rizzoli «Lettera a un kamikaze», cercando di spiegare alle società occidentali come e perché una parte crescente del mondo arabo solidarizzasse con i protagonisti del nuovo terrorismo, disposto a tutto pur di immolarsi alla causa. Oggi Fouad Allam non solo ribadisce che il vero volto dell’Islam è un altro, ma sottolinea che è proprio la trasmissione dei valori originali del Corano a costituire l’anello debole della catena. «Se anche l’ultimo arrivato può improvvisarsi interprete della tradizione autentica di questa religione, allora temo che gli effetti non potranno che essere devastanti. Anche perché le conseguenze peggiori dopo fatti del genere riguardano proprio le stesse comunità islamiche».
Quali rischi intravede? Il rischio per i musulmani che vivono in Italia è quello di finire stretti in una morsa: da un lato ci sono gli aspiranti kamikaze che, come si è visto, spuntano anche fra persone insospettabili; dall’altro l’opinione pubblica nazionale, che vede sempre meno di buon occhio la presenza di stranieri provenienti da Paesi islamici. È una tenaglia che rischia di stritolare tutto e a cui si può rispondere solo in due modi.
Quali? Servono politiche di integrazione, che rimandano alla responsabilità delle istituzioni, e una prevenzione dei possibili estremismi attraverso una miglior organizzazione del culto islamico. Sul primo versante, ancora mi chiedo perché la Consulta sia rimasta lettera morta, mentre sul nodo delle moschee mi pare che il problema non riguardi soltanto l’opportunità o meno di costruirne delle nuove, quanto piuttosto l’autorevolezza delle persone che in queste strutture predicano il Corano.
Sta parlando degli imam? È necessario istituire un registro che certifichi realmente chi può predicare in nome dell’Islam oppure no. Non è possibile che davanti alle platee di musulmani praticanti, finiscano per esercitarsi delle persone mediocri. Era quanto sosteneva una mia proposta di legge bipartisan, che aveva l’obiettivo di capire chi faceva cosa. Mi spiace che allora non se ne sia fatto nulla.
Più in generale, quale peso va dato alle vicende come quella di Milano? Non sono d’accordo con chi minimizza la portata degli attacchi «artigianali» come quelli portati contro la caserma Santa Barbara. Cosa significa «attacco isolato»? Abbiamo assistito a un’azione che potrebbe ripetersi ovunque, con gruppi di tre o quattro persone disposte a tutto. L’Italia è esposta al terrorismo internazionale, com’è noto, per via della presenza del suo contingente militare in Afghanistan, ma non dobbiamo sottovalutare anche l’aspetto che io chiamo «mistico» di questi gesti.
A cosa si riferisce? Anche un gruppo ristretto può avere finalità eversive se si sente investito da una missione. Per questo, bisogna sforzarsi di definire meglio i principi-guida dell’Islam rispetto a chi vuole appropriarsene in modo subdolo e pericoloso. Per evitare che si diffonda un clima pericoloso, innanzitutto per le stesse comunità islamiche. Il sociologo: episodi da non minimizzare, ci sono persone che si sentono investite da una specie di missione Un registro per gli imam e politiche di integrazione per evitare effetti devastanti Khaled Fouad Allam (Ansa)