La comandante della Sea Watch, Carola Rackete, scende a terra a Lampedusa nella notte tra venerdì e sabato scorsi (Ansa)
Prima insultano. Dopo si scusano. Cos’è cambiato a Lampedusa, l’isola che a partire dal 2011 veniva più volte candidata al Premio Nobel per la pace, candidatura lanciata a sostenuta anche da 'Avvenire', per la sua generosità nell’accogliere profughi e migranti? Cos’è successo in così poco tempo, se oggi, quando approda una nave dei soccorsi, si alza dalla banchina un coro indecoroso di disprezzo?
Forse non è Lampedusa ad essere cambiata. Mutato è il clima, mutata è la percezione dell’altro. E poi c’è lo sdoganamento del dileggio. Se dall’alto della poltrona di vice premier si lancia l’epiteto di «sbruffoncella» sulla comandante Carola Rackete, un semplice cittadino si può ben sentire autorizzato a gridarle «zingara», «cornuta» e ad augurarle di «essere violentata»? E siccome sulla Sea Watch c’erano alcuni parlamentari Pd in missione, be’, allora anche le loro mogli devono subire la stessa sorte da parte di «questi clandestini».
Frasi gravissime, non solo volgari e sessiste ma anche incivili e indegne, quelle sentite l’altra notte sulla banchina del porto, dove stazionava un gruppo di aderenti alla Lega Nord Lampedusa, e immortalate in un video postato su Facebook dal senatore Pd Davide Faraone. Circola un altro video, in cui l’ex vicesindaca dell’isola ed ex senatrice leghista Angela Maraventano urla rabbiosa nel buio della notte: «Non fate scendere nessuno, qui ci scappa il morto, vergogna vergogna». Una bagarre indecorosa, davvero.
Poche ore dopo, un giovane pizzaiolo si autodenuncia, con gran sollievo della Lega Nord lampedusana: è stato lui a vomitare insulti contro Carola; era ubriaco e arrabbiato perché qualche giorno prima la sua ragazza era stata molestata. «Mi rendo conto di avere esagerato, le chiedo scusa, spero possa accettare», ha detto il giovane isolano. E poi il colpo di scena: «Non sono mai stato iscritto alla Lega, io ho votato negli ultimi anni per il Movimento 5 stelle». Quindi non c’entra la politica, né l’odio razziale, né il sessismo, solo l’alcol. Una mattana lì per lì, spinta dall’ebbrezza di una calda notte d’estate.
Tutto bene? Mica tanto. Perché la canea che ha investito la comandante della Sea Watch al momento del suo arresto – e fortuna sua che conosce molte lingue ma non l’italiano – è la prosecuzione di ciò che si è riversato nei giorni scorsi sui social. Carola Rackete è stata dileggiata, insultata, ridicolizzata con epiteti che volentieri si riservano alle donne, come ben sanno altre esponenti del sesso femminile come Laura Boldrini e Michela Murgia, solo per fare due nomi. Ebbene, è ora di fermarsi. Si può essere avversari, si può non condividere azioni o idee, ma non si può offendere la dignità delle persone. In primis i politici diano il buon esempio e non istighino le folle. E gli amministratori di profili social vigilino con più rigore: lasciare nelle pagine commenti indegni, senza nasconderli o cancellarli, li rende complici della barbarie che imperversa. E che, come abbiamo purtroppo visto e sentito l’altra notte, è ben lungi dall’essere solo «social».