Abd al-Rahman al-Milad, meglio conosciuto come "Bija"
Mentre comincia a cedere il muro di menzogne eretto intorno ai rapporti tra l’Italia ed esponenti dei clan libici, il ministro dell’Interno di Tripoli ha emesso una nota nella quale chiede di eseguire un mandato di cattura contro Bija. Una mossa che suona come un avvertimento per il controverso guardacoste e come una rassicurazione per l’Italia e l’Europa, dopo le inchieste giornalistiche che hanno rivelato le relazioni pericolose con i presunti trafficanti libici.
A firmare il provvedimento è stato Fathi Bashaga, il potente ministro dell’Interno che nei giorni scorsi, mentre infuriava la polemica su possibili minacce alla sicurezza dei giornalisti italiani che stanno investigando sulla trattativa per il blocco delle partenze dei migranti, si trovava a Roma per alcuni incontri con il nostro governo. «Un mandato d’arresto per Abdulrahman Al Milad “al Bija” – rivelano da Tripoli – era stato emesso nell’aprile 2019. Continuiamo nella ricerca per la cattura». Dopo l’inchiesta di Avvenire, e le successive parziali ammissioni dello stesso Bija al nostro giornale, Milad ha però mostrato di muoversi liberamente, concedendo una lunga intervista a Francesca Mannocchi e Alessio Romenzi per l’Espresso e Propaganda live.
Se il clima starebbe cambiando in Libia, lo stesso accade in Italia. Fino a pochi giorni fa fonti accreditate dell’allora governo Gentiloni e dell’attuale governo Conte hanno sostenuto che Bija fosse arrivato nel 2017 con documenti falsi, ipotesi smentita dalle verifiche di Avvenire e adesso sbugiardata dallo stesso Bija che ha mostrato a l’Espresso il suo passaporto con il visto regolarmente ottenuto. Non solo, ci sono ora ex funzionari di primo piano che stanno fornendo chiarimenti più circostanziati. L’ammiraglio in congedo della Guardia Costiera Sandro Gallinelli, ritratto nelle foto ufficiali insieme alla rappresentanza di Tripoli il 15 maggio 2017, ha detto che «a noi era stato chiesto solo di ricevere una delegazione che veniva accreditata dalle autorità italiane competenti». In altre parole, «ci era stato chiesto di ricevere questa delegazione – ha risposto al Corriere della Sera –, per illustrare come noi lavoravamo nell’attività di soccorso in mare». Quanto alle autorizzazioni per l’ingresso in Italia, «sappiamo solo che c’era una procedura di accreditamento tramite l’ambasciata italiana a Tripoli e che queste persone che sarebbero arrivate da noi erano accreditate dalle competenti autorità italiane. Sicuramente la delegazione sarà stata proposta dai libici alle nostre autorità di rappresentanza italiane». Possibile che non si fossero accorti di chi fosse? «Adesso – risponde l’ammiraglio – non so dire se sia stato un errore o una scelta politica». In entrambi i casi, si tratterebbe di un’ombra pesante sull’Italia, tanto più che Bija ha continuato indisturbato per tutti questi anni e adesso, come ha raccontato a Francesca Mannocchi durante l’intervista per 'Propaganda live', il programma di La7 condotto da Diego Bianchi, dopo una pausa «sono stato richiamato in servizio due settimane fa», sempre nel ruolo di comandante della Guardia costiera di Zawyah, al servizio del governo sostenuto dall’Onu, ma nonostante egli stesso sia stato destinatario di interdizioni (blocco dei beni e divieto d’espatrio) disposto dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Rientro che a questo punto potrebbe venire interrotto dall’arresto.
Anche il prefetto Mario Morcone, attualmente direttore del Consiglio italiano per i rifugiati e all’epoca capo di gabinetto del Ministero dell’Interno, precisa di non essersi occupato della composizione della delegazione libica. «Credo che la proposta dei nomi partisse dall’Organizzazione internazionale delle migrazioni che è quella che poi aveva costruito questo incontro formativo – spiega sempre al Corriere –. L’Oim è un’agenzia delle Nazioni Unite, quindi se i nomi li hanno fatti loro, come io credo, la delegazione l’ha costruita un’agenzia dell’Onu». Resta una domanda, come ammette Morcone: «Com’è che non ci siamo accorti della presenza di un trafficante di esseri umani? Questa non è però una questione che riguarda me né il ministro dell’epoca (Marco Minniti, ndr)», ma chi si occupava della sicurezza «e cioè i servizi segreti in particolare ed eventualmente le forze di polizia che hanno partecipato». Riguardo al giallo del visto, il prefetto dice con chiarezza: «Doveva avercelo per forza, per il semplice motivo che, se tu devi venire in Italia da un Paese come la Libia dove c’erano una serie di restrizioni, è chiaro che c’è bisogno del visto. Non è che puoi salire sull’aereo e arrivare in Italia. Comunque c’è bisogno del visto e il visto lo rilascia l’ambasciata». Nel frattempo, però, sono cambiati sia i vertici dei servizi segreti che l’ambasciatore italiano a Tripoli.
In Libia, intanto, sale la tensione dopo che si è diffusa la notizia di un imminente arresto di Milad, esponente di primo piano, ma non il 'capo dei capi', della milizia al Nasr da cui dipende anche la sopravvivenza del fragile governo del premier Sarraj.
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