Comunione e liberazione, nel senso che la comunione viene prima della liberazione, ma non la esclude: con questa "formula" un prete venuto dalla Puglia è riuscito a riannodare i fili del dialogo con gli studenti dell’Università Cattolica di Rio de Janeiro. «Il primo giorno che sono entrato in quell’aula avvertivo il gelo intorno a me», racconta monsignor Filippo Santoro, vescovo di Petropolis, che stamane racconterà la sua esperienza al Meeting. «Mi ha mandato don Giussani – aggiunge – nel cuore della teologia della liberazione. Mi affidarono alcuni corsi che aveva lasciato Clodovis Boff. Davanti alla furia sociale dei miei alunni io proponevo non un’altra ideologia, ma la mia esperienza, quella dell’abbraccio con Cristo che avevo sperimentato nell’abbraccio con Giussani». Parliamo di 25 anni fa, la riflessione avviata dalla conferenza di Medellin nel 1968 – e confermata a Puebla nel ’79 – si era diffusa in tutto il Sudamerica, elaborando proposte sempre più radicali contro la povertà. Clodovis Boff a quell’epoca era un teologo di punta. Oggi il fratello del più popolare Leonardo Boff accusa la teologia della liberazione di "funesta ambiguità" e il movimento è spaccato.
Qual era l’errore dei teologi della liberazione?Quello di partire dal povero e non da Cristo. Fondare la teologia su un’analisi sociologica, seppur ammettendo a posteriori che essa parta da Dio, ma in realtà lasciandolo ai margini è un grave errore, non solo metodologico. Il fatto che ora lo ammetta anche Clodovis – il quale, tra l’altro, apprezza molto lo stile di Benedetto XVI – è importante e apre una crepa tra i teologi della liberazione.
Qual è stato il momento di svolta?Dopo le istruzioni della Congregazione per la dottrina della fede, che hanno criticato e messo sotto accusa quell’approccio negli anni Ottanta, il punto di svolta è stato la conferenza di Aparecida del 2007, in cui i vescovi sudamericani hanno riconosciuto che la missionarietà cristiana nasce prima di tutto dall’incontro con la bellezza del Signore presente nella Chiesa e che da questa bellezza parte per fare i conti con tutte le sfide, dalla povertà alla globalizzazione e all’indifferenza verso la religione.
Cos’è cambiato nella prassi pastorale delle Chiese sudamericane?Quando sono arrivato a Rio, nell’Università Cattolica non entravano neppure i testi di Ratzinger, Von Balthasar e De Lubac. Oggi sono studiati e ciò arricchisce anche la prassi pastorale. Aparecida ha dato il via a una profonda revisione della teologia e della prassi delle nostre comunità cristiane, lanciando la missione continentale, ricominciando da Cristo come ci chiedeva il Papa. Il discorso di apertura di Benedetto XVI è stato l’asse portante e lo sguardo della Madonna di Aparecida ci ha accompagnati: non verso le teorie sociologiche e neppure teologiche, ma verso la bellezza di Cristo che indica la strada per rispondere alle nostre angustie, anche ai mali sociali. E poi siamo stati sostenuti dai pellegrini che affluivano al santuario. Si è creata una comunione integrale tra il popolo e i suoi pastori.
Come hanno reagito i teologi della liberazione?La teologia della liberazione parte dal presupposto che la riflessione pastorale della Chiesa debba partire dal povero perché Cristo ha scelto di farsi povero. Clodovis ora scrive: «Quando si questiona se il povero è il principio e si domanda se prima non c’è il Dio di Gesù, la teologia della liberazione suole retrocedere e non nega. E non potrebbe farlo, perché Dio ha il primo posto». Infine accusa la teologia della liberazione di «ambiguità funesta» e quest’ambiguità è la sostituzione di Cristo con il povero.
Centrare la teologia su Cristo e non sul povero può indebolire la pastorale sociale della Chiesa sudamericana? No e lo dimostrano gli asili, gli sportelli farmaceutici, cioè le tante opere sociali generate dalla missione continentale. Aparecida ha spento la retorica e ravvivato la pastorale sociale. Clodovis ammette che la teologia della liberazione si regge su un equivoco epistemologico, ma è anche un equivoco storico: non è vero che la Chiesa ora sia meno sociale, anzi lavora molto di più con i poveri e non ha paura di prendere posizione. Nella mia diocesi, ad esempio, stiamo raccogliendo le firme per una legge contro la candidatura di politici già giudicati responsabili di corruzione.
Tempo fa, chiesi a un vescovo messicano cosa pensava della teologia della liberazione e mi rispose: «Lei crede che esista una teologia della dominazione?». Ai suoi fedeli che le chiedono cosa sia la liberazione, lei cosa risponde? Che la liberazione è quando il destino è più vicino al cuore dell’uomo. È la risposta che mi diede don Giussani.