I pazienti psichiatrici di Calvera recitano in «Pinocchio» al teatro Duni di Matera
«Entrammo nel manicomio di Potenza per prenderci i primi dieci matti. L’impressione fu indescrivibile, ricordo un edificio enorme e lugubre, lunghissimi corridoi di porte chiuse in ferro, un acre odore di urina. Pensai: "non ce la posso fare". Ma ci portammo fuori quei dieci fantasmi, gente dimenticata dal mondo e dalle loro stesse famiglie». Iniziava così vent’anni fa in Basilicata l’avventura della cooperativa Auxilium e delle prime quattro case alloggio per i matti che la legge Basaglia – ben venti anni prima – in teoria aveva già liberato dai manicomi. Angela Roseti, l’assistente sociale che pensava di non farcela, non se n’è più andata. Oggi è la responsabile della casa per malati psichici a Vallina (69 abitanti) frazione di Calvera (383 abitanti), ovvero nella periferia della periferia: «All’epoca c’erano difficoltà a trovare una sede perché lo stigma era forte, la gente aveva paura di questi matti usciti dai manicomi, così finimmo nel posto più nascosto», racconta Roseti.
La legge Basaglia, la 180 del 13 maggio 1978 (40 anni oggi), aveva rivoluzionato la psichiatria in Italia, sancendo la fine degli ospedali psichiatrici e restituendo ai matti la loro dignità di semplici malati da curare, non più da recludere e punire, «ma dopo vent’anni si era ancora al punto di partenza. Il giorno in cui con l’équipe medica andai a Potenza a prendermi i primi dieci, erano spaesati, impauriti, non sapevano più che fuori esisteva il mondo – continua la responsabile –, i più fortunati erano là da dieci anni, qualcuno aveva fatto 40 anni di manicomio. In un sacchetto di plastica portavano ogni loro avere: qualche maglioncino sbiadito, qualche biscotto rubato. Quando si entrava in quei luoghi si veniva spogliati di tutto. Corremmo a comprargli la biancheria».
Iniziava anche in Basilicata l’avventura del post Basaglia, la sfida più alta di umanità verso persone malate, per loro sfortuna non ad un arto e nemmeno ad un organo, ma nella mente, e per questo discriminate. «Noi operatori ci riunivamo notte e giorno per capire cosa fare – ricorda l’esperta –, c’erano i manuali e le linee guida, certo, ma poi conta solo l’esperienza». In manicomio i pazienti erano così spersonalizzati che per vestirsi andavano in lavanderia e prendevano l’indumento che c’era quel giorno, «così per prima cosa ho ripristinato il mio e il «tuo», ognuno ha avuto i suoi abiti, con i nomi sugli armadi. «Inoltre non capivo come mai arrivassero tutti senza denti, poi ho saputo: per evitare fastidi glieli cavavano... Mi è bastato vedere quegli sguardi per capire che chiedevano aiuto, non ho adottato nessuna speciale tecnica, solo l’ascolto». Per i 15 ospiti di Vallina, il massimo consentito dalla norma, lavorano 18 tra operatori socio-sanitari, educatori, riabilitatori psichiatrici e infermieri. Non è una passeggiata, anzi, molti sono malati gravi, ma la rivoluzione di Basaglia ha cambiato la prospettiva: «Io ho visto l’effetto della sua legge sui nomi», assicura Angelo Chiorazzo, fondatore della cooperativa Auxilium, nata con le case famiglia per malati psichiatrici e oggi attiva in una costellazione di realtà su diversi fronti, «e dico nomi perché quando li conosci uno per uno non vedi dei matti, vedi Maurizio, Prospero, Lucia, Rosa, Mimì, Leonardo... e allora capisci».
Capisci che furono reclusi in quanto malati o anche solo "strani", originali, fuori dall’ordinario, e che non occorrevano elettrochoc e violenza, ma quell’empatia che è l’unica strategia di Angela e dei suoi operatori. «Ho ricordi splendidi di tutti loro», riprende lei, «hanno una carica umana molto più grande delle persone normali e la loro aggressività è un richiamo, hanno toccato il fondo e hanno bisogno di noi». Come nel caso di Carlo, famiglia benestante, 60 anni di cui 12 passati in manicomio: «Quando è arrivato qui era scheletrico, ingoiava fili e bottoni. La prima notte ha sfilacciato e mangiato la t-shirt. Per giorni ho provato a imboccarlo, dopo un mese aveva imparato a usare le posate e dopo tre mesi ha fatto la prima gita. Appena sceso dal furgone ha visto gli spazi aperti e ha iniziato a tremare come una foglia, oggi è rifiorito».
O nel caso di un ex carabiniere, talmente aggressivo che a Potenza i pasti glieli passavano da sotto la porta. «Ringhiava, letteralmente. Avremmo potuto usare la forza, invece ho lasciato che non si lavasse e giorno per giorno ho cercato come entrare in relazione con lui». Il primo successo è arrivato portando da casa una cassetta di Lucio Battisti, "conosci me.." cantava Angela, "il nome mio" continuò lui, e quel giorno invece di latrare sorrise. Oggi è il primo che la mattina si va a lavare. «Era stato un uomo molto buono, aveva sposato una donna poliomielitica che gli aveva dato un figlio...», poi gli anni di piombo e un grande choc («aveva subìto una sparatoria, ripeteva terrorizzato "pum pum"»), infine il divorzio e la perdita del senno. Di suo figlio è ancora convinto che abbia 4 anni, invece ne ha 40 e da poco ha saputo che quel padre che credeva morto da anni in realtà era in cura a Vallina: «È venuto e gli ho fatto vedere il papà da una finestra – racconta la responsabile –, pian piano li faremo incontrare».
O infine nel caso di una donna arrivata dall’Ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere, dov’era internata per aver ucciso il marito alcolizzato e violento... «Oggi la legge ha chiuso gli Opg, noi anche in questo fummo precursori 19 anni fa. La famiglia l’aveva rifiutata come assassina, con noi lei si aprì e io la ricordo come la persona più mite e generosa».
Angela Roseti ha 57 anni e in pensione spera di andarci il più tardi possibile. Per molti ospiti è lei l’unica famiglia, visto che «dopo la morte delle madri in genere i parenti spariscono, fratelli compresi». Ma una famiglia, vera, ce l’ha anche lei, che al marito e ai figli deve tutta la forza di questi anni, «anche se da bambini erano gelosi dei miei matti – sorride –, mi accusavano di stare più con loro che a casa». Degli ospiti attuali, solo due sono ancora del gruppo uscito vent’anni fa dall’ospedale psichiatrico, gli altri non conoscono il manicomio. «Da allora le cose sono cambiate», sottolinea Angelo Chiorazzo, «all’inizio oltre alla paura della gente c’era l’allarmismo dei giornali, con toni molto simili a quelli che usano oggi sui migranti. Si finiva in manicomio anche se si era autistici, o con qualche ritardo, o addirittura con difficoltà di linguaggio che oggi cureremmo dal logopedista. Alcuni furono internati perché nessuno si poteva prendere cura di loro altrove», e dentro "matti" lo diventavano davvero. Il successo più grande, allora, è stato innescare il percorso opposto, «il rientro in famiglia di alcuni ospiti partiti dal manicomio e riabilitati in casa alloggio. Queste sono le vere vittorie... insieme agli occhi di Rosario o di Prospero!».
Rosario: è stato il primo dei dieci ad arrivare vent’anni fa, oggi esterna la sua tenerezza dispensando baci a chi lo incontra. Lo ha fatto anche con Francesco ad ottobre, quando con i compagni è stato ricevuto in Vaticano e il papa si è intrattenuto con ognuno di loro. Prospero: pittore di talento, dipinge e vince premi. Nel laboratorio di arte terapia ha ritratto il volto di Gesù donato al papa e, insieme ai compagni, un San Francesco ora esposto al "Serafico" di Assisi: una grande tela a tecnica mista dedicata ai 40 anni della "Basaglia" e al santo "folle d’amore". ll saio in iuta sembra una camicia di forza e rappresenta la malattia mentale che, nonostante la sua fragilità, può trovare la luce in Fratello Sole.
«Ad agosto in dieci hanno fatto addirittura il loro primo viaggio all’estero a Lourdes», conclude Chiorazzo, «mentre a giorni porteranno al teatro di Lecce Pinocchio, storia di un burattino», pièce filosofica già applaudita al Teatro Duni di Matera, recitata da pazienti e operatori insieme, con scene dipinte nel laboratorio di casa Vallina.
Sembrano passate ere da quando tremanti, nudi e senza denti uscivano dal manicomio per affrontare un mondo che li aveva sepolti. Oggi 40 anni fa, nel giorno dei funerali di Aldo Moro, un’Italia stordita e lacerata trovava il coraggio di non fermarsi e di approvare la legge 180: «Sono momenti di orgoglio di una nazione, il mondo ce la invidia. Nell’ideale pantheon di questo Paese Basaglia c’è».