In tre anni (2005-2007) evitata la morte di 120 mila embrioni. Questo uno dei risultati più importanti della legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita (mpa), in base al 2° rapporto del Movimento per la vita (Mpv) sull’attuazione della norma. Il quadro tracciato dal rapporto si basa sulla lettura dei dati ufficiali del ministero della Salute e della Società europea di riproduzione e di embriologia (Eshre). Finora gli effetti della legge sono stati per lo più misurati sul piano di uno solo dei due scopi del provvedimento (il superamento della sterilità e dell’infertilità): «quest’anno - ha osservato il presidente del Mpv, Carlo Casini – la esaminiamo sotto il profilo dei diritto alla vita del concepito, sancito dall’articolo 1 insieme ai diritti di tutti gli altri soggetti coinvolti». Sulla base dell’ipotesi, fondata sul rapporto stabilito per il 2007 fra ovociti non utilizzati (un gran numero secondo le relazioni del ministro Livia Turco), ovociti non idonei e embrioni ottenuti dagli ovociti idonei, si può calcolare che nel triennio 2005-2007 la cifra totale degli embrioni che avrebbero potuto essere prodotti in soprannumero è 121.869 (e mancano i dati di quasi dieci mesi del 2004). Si tratta di vite umane che avrebbero potuto essere soppresse o per distruzione diretta o per congelamento, morti che invece la legge 40 ha evitato. «Il paradosso è che i sostenitori della legge 194 sull’aborto sostengono che la paternità responsabile si realizza evitando il concepimento, mentre per la pma gli stessi affermano la libertà di generare embrioni senza limiti, anche se poi vengono destinati alla morte», ha evidenziato Casini, sottolineando comunque che la procreazione assistita resta nell’ambito di tecniche in sé gravate da riserve etiche anche quando gli embrioni sono tutti trasferiti in utero. Il presidente del Mpv ha indicato anche ciò che «non sarebbe avvenuto se la normativa fosse stata approvata prima». Per esempio 5.349 embrioni sono morti per effetto di scongelamento nel quinquennio 2003-2007, ma si tratta di un residuato della crioconservazione anteriore alla norma. Dal confronto con altri Paesi emerge inoltre che sono diminuite le sindromi da iperovulazione (0,44% nel 2007 in Italia, contro l’1,2% della media europea). Effetto, secondo Casini, «di stimolazioni dolci, meno pericolose delle stimolazioni severe, possibili quando non sia posto un limite alla creazione di embrioni e quindi al prelievo di ovociti». Il rapporto smentisce quanto di solito affermato dai critici della legge, cioè che con il limite di tre embrioni la percentuale di successo è scarsa, quindi la donna è condannata a sottoporsi ad ulteriori stimolazioni. Questa tesi è contraddetta non solo dalla diminuzione delle sindromi di iperovulazione, ma anche dal fatto che la probabilità che la donna nella fecondazione in vitro si debba più volte sottoporre a trattamento iperovulatorio e prelievo, è andata calando. Si passa dal 30,5% dei cicli e dal 14,3% dei prelievi del 2003 al 20,6% dei cicli e al 7% dei prelievi nel 2007, in netta controtendenza con quanto accade nell’inseminazione semplice, che non produce embrioni in provetta, dove la stimolazione plurima è andata crescendo (20,4% nel 2005 e 34,7% nel 2007). Ed in contrasto anche con quanto avviene nella pma in altri Paesi. «Grazie alla legge, con pochi ovociti prelevati, che esigono una somministrazione di farmaci più modesta, meno rischiosa per la donna, si possono ottenere embrioni più vitali», ha spiegato il presidente del Mpv. Quanto al 'successo' in termini di gravidanze e parti, la percentuale in Italia è andata migliorando. Anche se è vero che i dati percentuali di altri Paesi europei sono migliori, ma bisogna tener conto del fatto che, già nel 2003, il nostro Paese, prima della legge 40, si trovava al 24° posto tra trenta nazioni, con riferimento alla percentuale di parti per trasferimento da Fivet e al 20° per trasferimento da Icsi. La percentuale di successo è poi migliorata nel nostro Paese, nonostante due fattori che rendono meno vantaggiose le condizioni. L’Italia ha il record assoluto e percentuale per numero di centri che effettuano la pma: «Questo significa che sono numerosi i piccoli centri che non hanno l’esperienza sufficiente per raggiungere le percentuali di successo che sarebbero auspicabili». Un altro fattore che rende difficile il successo della pma nel nostro Paese è che il numero di donne ultratrentacinquenni è andato crescendo nel tempo fino a raggiungere nel 2007 il 65,1% mentre nel 2003 era del 56,4%. In Francia la percentuale è del 38,5%. L’Italia è in seconda nella classifica europea per anzianità delle donne che ricorrono alla pma, preceduta soltanto dal Montenegro. In vista della pubblicazione della motivazione della sentenza della Corte costituzionale, che nel dispositivo tra l’altro ha dichiarato illegittimo il limite di tre embrioni prodotti, Casini ha sottolineato che il rapporto vuole essere «comunque uno stimolo ad una riflessione, affinché qualunque cosa affermi la Consulta si continui ad applicare le regole della legge 40 come più scientificamente e eticamente accettabili. In ogni modo non ci può essere un obbligo a produrre più di tre embrioni. Già prima della legge moltissimi centri non superavano quel limite».