venerdì 3 luglio 2009
Il sottosegretario al Welfare interviene dopo l'ordinanza del giudice di Bologna che ha permesso una diagnosi pre-impianto: «Per la prima volta si parla di diritto ad abbandonare l'embrione ritenuto malato. E' eugenetica».
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«Da tempo alcuni magistrati tentano di smontare la legge 40 a forza di sentenze, contraddicendo la volontà popolare e­spressa in un referendum, sia la volontà del Parlamen­to. L’intervento del Tribunale di Bologna si inscrive in questa tendenza». Il giudizio di Eugenia Roccella, sot­tosegretario al Welfare, sull’ordinanza del giudice felsi­neo Cinzia Gamberini, che ha permesso la diagnosi ge­netica preimpianto a una coppia portatrice di una ma­lattia genetica, è tranchant. Dopo questa ordinanza si apre uno spiraglio alla dia­gnosi preimpianto in Italia? «No. Si tratta di un tribunale civile che ha emanato un’or­dinanza su un singolo caso. La legge 40 resta la legge». Oltre alle sentenze ambigue, anche i ricorsi aumenta­no. «La legge 40 risente di una cattiva propaganda, tanto che è una inchiesta della European Society of Human Reproduction a dire che il 40% delle coppie italiane che vanno all’estero lo fanno per prestazioni che potrebbe­ro tranquillamente fare in Italia. La disinformazione al­la fine si ritorce contro gli stessi centri che la attuano». L’ordinanza di Bologna dice di appoggiarsi sulla sen­tenza della Consulta dello scorso aprile. «La Corte ha detto che non deve essere il legislatore ma il medico a decidere il numero degli embrioni da pro­durre e impiantare, tenendo conto ovviamente della sa­lute della donna. Il magistrato ha stabilito invece qual è il numero degli embrioni da produrre, non meno di sei, contraddicendo così la Corte. Inoltre la sentenza della Corte ha lasciato intatti tutti gli altri divieti della legge 40, tra cui quello di crioconservazione – pratica che de­ve rimanere un’eccezione, per cui bisogna produrre il nu­mero strettamente necessario di embrioni – e soprattutto quello di selezione eugenetica». A questo proposito, il magistrato giustifica la selezione degli embrioni appellandosi a quel rispetto della salu­te della donna – intesa come salute psichica, evidente­mente – richiamato dalla Corte. Un accostamento nean­che troppo velato alla legge 194. «La 194 non ha legittimato l’eugenetica, mentre questa ordinanza introduce per la prima volta, ed è una cosa gravissima, 'il diritto di abbandonare l’embrione risul­tato malato': sono le parole testuali che usa il giudice. La 194 fa riferimento a una donna che si ritrova in grem­bo un figlio e che non ce la fa a portare a termine la gra­vidanza, salvo mettere a repentaglio la sua salute psi­chica. Nel caso della fecondazione assistita non si par­te da una gravidanza: c’è un progetto di maternità cui hanno dato il consenso informato sia la madre che il pa­dre. Si tratta di qualcosa di programmato. Quindi una donna farebbe una previsione sul fatto che impiantare quell’embrione potrebbe incidere sulla sua salute psi­chica... ». Insomma due situazioni non comparabili. «Assolutamente no. Per la prima volta, ripeto, si parla in un atto giurisprudenziale di un diritto al figlio al sano e, implicitamente, di un non diritto del figlio malato a ve­nire al mondo. Una chiarissima apertura all’eugenetica». Si possono frenare questi ripetuti tentativi di aggirare le legge 40 per via giudiziaria? «Confido molto nelle nuove linee guida che stiamo ela­borando, con l’ausilio di due commissioni, e che saran­no pronte tra circa sei mesi. Le linee guida non servono per interpretare la legge ma per garantirne un’applica­zione il più possibile trasparente e conforme ai suoi prin­cipi».
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