Mattarella e Salvini in una foto Quirinale/Ansa
La mossa, tutta politica, è di quelle che sparigliano, innescando uno scontro al calor bianco con la magistratura. Dopo ventiquattr’ore spese a valutare i possibili scenari innescati dalle motivazioni della Cassazione – che lascia aperta la possibilità di sequestro giudiziario dei fondi della Lega, ovunque si trovino, fino a raggiungere i 48,6 milioni di euro oggetto di una presunta truffa sui rimborsi elettorali –, il segretario Matteo Salvini, vicepremier e ministro dell’Interno, e lo stato maggiore del partito decidono di tirare in ballo il Quirinale, chiedendo un incontro al capo dello Stato Sergio Mattarella, non appena ritornerà dal viaggio nei Paesi Baltici (l’ultima tappa, in Lituania, è prevista domani).
«Si tratta di un gravissimo attacco alla democrazia per mettere fuori gioco per via giudiziaria il primo partito italiano. Un’azione che non ha precedenti in Italia e in Europa», fanno sapere fonti del Carroccio. In mattinata, lo stesso Salvini si è detto convinto che «c’è qualche giudice che fa politica, ma non esiste un disegno generale. Noi siamo tranquillissimi». Sull’irrituale richiesta leghista, per ora il Quirinale non si pronuncia («No comment», è stata ieri sera la laconica risposta di fonti del Colle), ma al rientro in Italia il capo dello Stato dovrà in qualche modo valutarla. In ambienti parlamentari viene fatto notare come mai, in passato, i presidenti della Repubblica abbiano interferito con decisioni della magistratura.
Per alcune ore l’altra componente del governo, il Movimento Cinquestelle, resta in silenzio, finché in serata il vicepremier Luigi Di Maio non si pronuncia: «È una sentenza che non mi crea imbarazzo, lo scandalo riguarda Bossi e il suo cerchio magico e non la Lega di Salvini. In ogni caso è una sentenza e va rispettata». Dai banchi delle opposizioni, si fa sentire il Pd, che parla di un atto di «gravità inaudita» e, con l’ex premier Matteo Renzi e il segretario reggente Maurizio Martina, chiede a Salvini di «riferire in Parlamento» e di «restituire i 48 milioni di euro ai cittadini italiani».
È solo l’ultimo colpo di scena di una vicenda che, sul piano giudiziario, si era messa in moto l’anno scorso in seguito alla condanna in primo grado, il 24 luglio a Genova, di Umberto Bossi e dell’ex tesoriere leghista Francesco Belsito per truffa ai danni dello Stato, insieme ad altri imputati: per i giudici, i due avevano incassato rimborsi elettorali senza averne diritto, grazie a certificazioni false. A settembre, era scattato il sequestro preventivo di 48,6 milioni di euro, a carico della Lega, ma la Guardia di Finanza era riuscita a individuare e bloccare su conti riferibili al Carroccio solo 3,1 milioni. A quel punto, i pm avevano chiesto di estendere la misura alle somme incassate dal partito, ovunque fossero. Ma i giudici del Riesame non erano stati d’accordo, sostenendo che il denaro andava cercato solo nei conti delle persone fisiche imputate. La questione è finita davanti alla Cassazione, che ad aprile ha dato ragione alla procura, con la pronuncia di cui martedì sono state rese note le motivazioni.
Ora la palla tornerà al Riesame, che dovrà fissare l’udienza, ricorda il procuratore di Genova, Francesco Cozzi: «Non si tratta di un processo politico. Come non lo sono i procedimenti fatti dalla procura di Genova per fatti che coinvolgevano esponenti di altri partiti. Qui è parte civile il parlamento italiano», considera Cozzi, «ci siamo rivolti alla Cassazione, perché i nostri uffici seguono la vicenda esclusivamente sotto un profilo tecnico». Irritazione da parte del presidente dell’Anm Francesco Minisci: «I magistrati non adottano provvedimenti che costituiscono attacco alla democrazia o alla Costituzione, né perseguono fini politici». Pure nel Csm, secondo alcune fonti, i toni del Carroccio suscitano «preoccupazione». Un timore al quale fonti leghiste replicano con durezza: «Solo in Turchia, nei tempi moderni, un partito democratico e votato da milioni di persone, è stato messo fuorilegge attraverso la magistratura».
Nel bilancio del 2017, la Lega ha denunciato disponibilità liquide per 41mila euro, con un disavanzo di esercizio di oltre un milione di euro. Ma nei mesi scorsi, la Procura genovese ha dato il via a un filone parallelo d’inchiesta per riciclaggio a carico d’ignoti, sospettando che una parte dei 48 milioni possa essere stata spostata all’estero e poi fatta rientrare in Italia, attraverso transazioni da ricostruire. Ipotesi infondate, secondo Salvini: «È un processo politico – ribadisce da giorni – che riguarda fatti di 10 anni fa su soldi che io non ho mai visto».