Quale avvenire per Avvenire? Per il suo 55esimo compleanno, il giornale ha deciso di farsi un regalo: un esercizio di ascolto. Informale, inevitabilmente (per ora) limitato, concentrato sui lettori di oggi ma anche di domani: gli under30. Un mondo nel mondo, dove informarsi - bene - è spesso un’eccezione, ma che sa esattamente ciò che vuole.
Al primo posto c’è la chiarezza. Cioè separare i fatti dalle opinioni, ma anche scegliere le parole giuste nel momento giusto, qualunque linguaggio o strumento si utilizzi. E poi il racconto della complessità: che va affrontata, letta, domata. E al tempo stesso illuminata, in tutte le sue sfumature e sorprese, con quell’ostinata passione che per un quotidiano di ispirazione cattolica come Avvenire rappresenta forse la sfida più grande, così come l’opportunità di offrire qualcosa di diverso e qualificante.
Il piccolo viaggio fuori dai luoghi comuni parte da Milano, da Sofia Polini. Ha 24 anni, studia Lettere moderne e con una settantina di amici ha un gruppo su WhatsApp con cui si scambiano link ad articoli, «per non avere un solo parere, una sola voce su un fatto». «Tutti ci informiamo sui social, ma è un’abitudine che serve solo a dare i topic», l’agenda dei fatti e dei temi di cui tutti parlano. «Ma in molti andiamo oltre, e cerchiamo per lo più media capaci di non polarizzare ma di affrontare in modo critico le questioni. E soprattutto di superare le solite letture superficiali, spesso demagogiche, che assecondano l’opinione pubblica: troppo spesso la cronaca viene utilizzata come pretesto per dire cose già note o per ribadire posizioni già prese».
Anche Alice Bianchi, bresciana trapiantata a Roma, cerca un’informazione «che guardi in faccia alla realtà dei fatti, capace di contestualizzare più che di polarizzare». Consigliera nazionale di Azione Cattolica, è teologa ma intanto insegna e anche per questo sente il bisogno di «stare sul pezzo: chi lavora a scuola non può permettersi di non essere aggiornata». La sua dieta mediatica prevede una rassegna stampa in podcast al mattino, alcuni siti fidati e qualche giornale da sfogliare (rigorosamente in digitale) nei ritagli della giornata per poi concedersi un altro podcast più leggero la sera mentre cucina. Non sa dire se fa parte di una minoranza, ma sa che per lei informarsi è stata ed è una scelta. «Capisco chi scappa dalle notizie - ammette -: informarsi significa entrare in contatto con questioni enormi, sfuggenti e a volte preoccupanti».
Preoccupazione che fa proprie Michela D’Isidoro. Abruzzese, delegata giovani del Rinnovamento nello Spirito, ha anche lei un piede nella scuola e l’altro nel mondo accademico. E forse per inclinazione professionale ama, e cerca, «contenuti di qualità sul piano della sostanza ma anche della forma». Come tutti, a scandire i temi è lo smartphone, con le notifiche dei motori di ricerca. Poi ci mette del suo: «Clicco solo su quello che mi interessa, e così seleziono. Argomenti e fonti». Proprio le fonti, altro vizio del mestiere, sono ciò che la porta a considerare di valore un contenuto: «I miei temi? Gli esteri, la politica che non sempre mi piace o capisco ma da cui non posso sottrarmi. E poi la fede, la Chiesa, i temi sociali e di genere. L’alterità in generale».
Sono forti gli echi della cronaca più recente. Le donne, i femminicidi, la guerra. Fronti lontani ma sui quali Pasquale Cirillo, 26 anni di Scafati, studente di teologia a Napoli, cerca sempre la stessa chiave: «L’esperienza diretta, il vissuto. Che sia un articolo scritto, o meglio ancora un podcast o un video, si capisce subito se chi racconta ha toccato con mano ciò che racconta». In fondo è anche questa l’informazione che ti prende, e ti spinge a non scappare: «I giovani fuggono? Dipende, è soggettivo. A molte persone che conosco piace restare aggiornate, e come me amano scavare, non fermarsi a una notifica social: ma la fiducia, dopo averla conquistata, va mantenuta. E vale anche per i settori più lontani dalla cronaca: i contenuti scientifici, ad esempio, o la natura, la tecnologia, tutti ambiti che prediligo».
Irene Annovazzi, 25 anni, chiavarese a Torino per una laurea in chimica farmaceutica, cerca di guardare almeno un telegiornale al giorno. E tutto il resto è social, giornali online, qualche podcast ma - curiosità - guardato sullo schermo e non ascoltato con le cuffie, perché «in quel caso preferisco la radio». La differenza, dice Irene, «la fa la capacità di spiegare con chiarezza contenuti complessi». Di qui la preferenza per grafiche, sintesi, «contenuti social che in poche immagini ti fanno capire cose complicate. Perché lo so bene: informarsi è utile, è importante per capire come va il mondo». Occhio ai titoli, per Irene: «Se mi attirano clicco e leggo, ma se la mia fiducia è tradita difficilmente potrà essere riconquistata».
Dal presente al futuro, il passo è breve. Per Avvenire, e più in generale per chi intende avere qualcosa da dire e ricevere da chi non sfoglia un giornale di carta o non va in edicola a comprarlo da anni. «Bisognerebbe parlare di più di ambiente», suggerisce ancora Irene, un tema su cui «la distanza tra adulti e giovani è ancora troppo ampia. Si vede che a noi sta molto più a cuore che a loro». Come per molti coetanei, per Pasquale è nel podcast che ci sono ancora grandi potenzialità inesplorate, perché «è uno strumento ideale non solo per raccontare, ma anche per apprendere o far riflettere». Avendo cura di porsi alla giusta distanza. «Vedo che diversi media offrono la possibilità di entrare a far parte di community costruite intorno a loro - ragiona ancora Sofia -. Un po’ va bene, perché sono molti i giovani a volersi sentire parte di qualcosa. Ma attenzione a non esagerare, di norma le persone della mia età non vogliono vedersi imposto nulla». Una pista affascinante la indica Michela, parlando di «partecipazione ragionata»: «In futuro credo ci sarà sempre più bisogno di luoghi dove oltre all’informazione si possa costruire un confronto, sì, ma costruttivo. Perché è la confusione, più o meno voluta, che spesso ci spaventa».
Il viaggio, per ora, si chiude qui. Per suggerirci come continuarlo basta scrivere a lettere@avvenire.it.