Una scelta miope e sciagurata. Che accrescerà strutturalmente il tasso di provincialismo dei telegiornali. E farà perdere all’Italia i treni che partono dalle aree emergenti del mondo. La galassia dell’associazionismo e delle organizzazioni non governative critica compatta la previsione (per ora come ipotesi), nel bilancio Rai 2010, di chiudere cinque sedi di corrispondenza nel Sud del Mondo e il canale RaiMed.Per fare aprire nel 2005 la sede di Nairobi, la
Tavola della Pace condusse una battaglia tenace. «Era una delle richieste della campagna "Diamo voce alla pace" – ricorda il coordinatore Flavio Lotti – cui avevano aderito Usigrai, Fnsi, Articolo 21 e le testate Redattore sociale, Missione oggi, Nigrizia e Mosaico di pace. La stessa richiesta dell’editoriale congiunto delle riviste missionarie: "Notizie, non gossip"». Dopo la raccolta di firme per aprire la sede di Nairobi, ora la Tavola della Pace si prepara a una nuova mobilitazione contro la chiusura. «Sarebbe un disastro – dice Lotti – perché equivarrebbe a chiudere gli occhi su interi continenti. Il servizio pubblico ha il dovere di fornire agli italiani gli elementi per capire i grandi temi internazionali. Sono strumenti di democrazia».Rinunciare ad avere osservatori diretti «significa accontentarsi di quello che passano i soliti canali. Sull’informazione in queste aree si gioca una partita grossa». RaiMed, poi, «è un canale di dialogo col mondo arabo – ricorda Flavio Lotti – e uno strumento di diplomazia. Mi auguro che la Farnesina intervenga: il ministro Frattini sa bene che sono aree strategiche per gli interessi del Paese. Francia, Spagna e Stati Uniti investono nel Mediterraneo, noi diciamo addio a opportunità politiche ed economiche. E questo quando potremmo essere il Paese capofila dell’Ue nei rapporti con la sponda meridionale». Stesso discorso per la sede di Nuova Dehli: «Dopo la Cina, è l’India l’economia emergente».«Una sciagura», commenta Sergio Marelli, segretario generale di
Volontari nel mondo-Focsiv, il cartello delle Ong di cooperazione allo sviluppo di area cattolica. «I telegiornali Rai – dice Marelli – assomigliano ogni giorno di più a rotocalchi, tutti ripiegati a scrutare l’ombelico nazionale. E questo mentre l’Italia vorrebbe contare di più come presenza internazionale. Avanti di questo passo ridurremo l’informazione a gossip e provincialismo. Viene da rimpiangere quando lamentavamo che dell’Africa si parlava solo in caso di crisi umanitarie. Ora rischiamo il silenzio...».«Sarebbe un grande passo indietro», commenta Sergio Cecchini. Il responsabile comunicazione di
Medici senza frontiere Italia ricorda che la sede Rai di Nairobi «era stata intitolata proprio a Ilaria Alpi, una giornalista che ha perso la vita perché cercava di raccontare quello che stava succedendo davvero in Somalia». Il rischio «è che dell’Africa si torni a parlare solo per stereotipi: crisi umanitarie, guerre tribali, epidemie. Oppure per le stelle emergenti del calcio e i mondiali in Sudafrica». Già oggi, dice Msf, «l’Osservatorio di Pavia registra una contrazione dell’informazione sul Sud del mondo, relegata a orari da nottambuli. Anche altre testate internazionali stanno tagliando, ma non sull’unica sede di corrispondenza di un intero continente». Medici senza frontiere paventa un altro pericolo. «Oggi l’informazione è sempre più
embedded: i giornalisti viaggiano a seguito dei militari, dei ministri e dei capi di Stato. O anche degli interventi umanitari di noi Ong. Ma l’informazione deve essere indipendente».