Le poesie sulle saracinesche chiuse di Butera - .
Duecento passi. Da Piazza Dante al Castello, via Aldo Moro è una Sicilia plurale che non c’è più. Perché Butera, poco più di duemila anime arroccate nell’entroterra di Caltanissetta, un tempo era tutta lì. In questo budello in cui si alternavano una cinquantina di negozi che oggi non ci sono più. Saracinesche abbassate su palazzine svuotate di vita che brulica. Ma con un’anima che può ancora dire tanto in vicoli più o meno deserti, ora arabeggianti, ora normanni. È per questa ragione che un manipolo di giovani del luogo ha deciso di dare vita proprio alle saracinesche chiuse, arrugginite, dimenticate di questa comunità. Attraverso le parole dei grandi poeti d’Italia e della Sicilia in particolare.
Un viaggio di versi ricercati per accendere una luce in un borgo dove «siamo rimasti in pochi», dice Emanuele Savio Fiore. È lui, 36 anni, appassionato poeta, ad avere coinvolto alcuni giovanissimi di questa cittadina, che vernice e pennello in mano, celebrano Pirandello, Quasimodo, Bufalino, Sant’Agostino, Madre Teresa di Calcutta riportandone sulle saracinesche versi e passi letterati contenuti nelle più celebri produzioni. Sono una ventina gli spazi finora utilizzati «ma sono destinati ad essere un centinaio», aggiunge Federica Casisi, 23 anni, studentessa all’Accademia delle Belle Arti di Catania che sui social promuove l’iniziativa che «celebra i temi del ritorno, dell’Isola, della “sicilitudine”, dell’appartenenza al Paese».
Perché «un Paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via», per prendere in prestito Cesare Pavese che su una vecchia porta di ingresso di quella che un tempo era una merceria, oggi invita alla lettura i passanti più curiosi. L’idea ha accolto il favore di tanti compaesani «che ci hanno chiesto di decorare i propri ingressi, mettendo a disposizione anche il materiale che occorre», riprende Fiore che ad ottobre aprirà una salumeria proprio in zona. «Vogliamo rendere visibile e vivibile il nostro borgo», dicono Giorgia Maniaci e Rita Russo pensando ai seimila vacanzieri ospiti delle strutture turistiche «così vicine ma così lontane da qui», a quindici chilometri, che scivolano verso la zona marina di Butera, dopo un dolce susseguirsi di curve.
«Potrebbero visitare le nostre chiese o scattare qualche selfie al Belvedere». Non solo poesia dunque per accendere «il bello che ci piace». Il gruppo si allarga ogni giorno sempre più ai pochi giovani che restano tutto l’anno nel borgo. «Stiamo pensando anche ad un concorso di idee e alle biblioteche di quartiere», piccoli scaffali assemblati su materiali riciclati, presidi di lettura tra vicoli aperti su un panorama che si staglia su distese di mandorli e ulivi.
«Lavoriamo ad un marchio», confida Federica che ormai da mesi è impegnata a spezzettare gli scorci più belli di Butera sulle pagine social racimolando il consenso di tanti emigrati, soprattutto in Germania, nostalgici e di “pavesiana” memoria. Presto sulle saracinesche, metafora di un viaggio ideale nella letteratura e nella poesia anche locale ed in dialetto, anche un omaggio a Fortunato Pasqualino, lo scrittore che nel ’63 vinse il Premio Campiello, a cui il borgo ha dato i natali.