Il rispetto dei diritti umani dal 1949 a oggi «ha fatto purtroppo enormi passi indietro». Il pieno coinvolgimento dei civili nei conflitti in Siria, Yemen, Repubblica Centrafricana, Sud Sudan, prima di tutto. Ma anche gli abusi sistematici sui migranti nei centri di detenzione in Libia. E preoccupa la mancata sottoscrizione al Trattato per la proibizione delle armi nucleari da parte dell’Italia, che ha nelle due basi aeronautiche di Ghedi e Aviano circa 90 testate atomiche, armi di distruzione di massa che ignorano qualsiasi distinzione tra militari e civili. Il 70° anniversario della Convenzione di Ginevra per la protezione dei civili in tempo di guerra, dunque, non è occasione di festa, dice con amarezza Francesco Rocca.
Oggi a Roma l’inaugurazione della mostra fotografica organizzata per i 70 anni dei Diritti umanitari. Ma nel mondo non è certo occasione di festa perché «abbiamo fatto molti passi indietro»
«Le armi atomiche? Gli ordigni nucleari non guardano in faccia nessuno. L’Italia, coerentemente agli impegni presi e nel rispetto della sua storia, dei suoi valori e delle sue tradizioni deve sottoscrivere il bando»
Una vita nel volontariato ( Jesuit refugee service, Caritas, Cottolengo), l’avvocato Rocca dal 2017 è il presidente della Federazione internazionale delle Società di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa, e presidente della Croce Rossa Italiana. Oggi pomeriggio - assieme al presidente del Comitato internazionale della Croce Rossa, lo svizzero Peter Mauer - interverrà all’inaugurazione della mostra fotografica organizzata per i 70 anni della Convenzione di Ginevra, al Circolo degli Esteri a Roma. «In questo 70° anniversario non possono non venire in mente tutte le violazioni del Diritto internazionale umanitario – è la constatazione di Rocca – che sempre più nei tempi recenti sono state perpetrate. Ma le convenzioni esistono, e sono un punto di riferimento per la tutela delle vittime anche nelle situazioni più atroci».
Cosa è cambiato nelle guerre dal 1949 a oggi? Il panorama dei conflitti in corso suggerisce un bilancio negativo. È così?
È vero. Sono stati fatti enormi passi indietro rispetto a quello che era un dato acquisito dalla nostra civiltà. Cioè che anche in guerra esistono dei limiti, che i civili vanno rispettati, che bisogna trattare con dignità i prigionieri di guerra, che ci sono luoghi protetti. Tutto questo negli ultimi conflitti non c’è più. Assistiamo ad un arretramento forte di questo spazio umanitario.
Le guerre un secolo fa erano combattute al fronte e facevano vittime soprattutto militari. Oggi il rapporto sembra invertito.
Sia in Siria che in Yemen sono state assediate intere aree urbane. Gli ospedali bombardati, le ambulanze e gli operatori umanitari trasformati in bersagli. Sembra la nuova normalità, anche se così non dovrebbe essere. Le grandi organizzazioni internazionali, come La Croce Rossa, sono vittime di questa situazione. L’appello ai governi, alle superpotenze, a chi ha il potere di intervenire è che si esiga il rispetto del diritto internazionale umanitario come base minima della conduzione di qualsiasi conflitto. La Siria e lo Yemen, ma anche l’area del lago Ciad, la Repubblica Centrafricana, il Sud Sudan. Di esempi purtroppo ne abbiamo a bizzeffe e in diversi luoghi del mondo, non è una esclusiva mediorientale.
Violazioni dei diritti fondamentali non si verificano solo durante i conflitti. In Libia, nei centri di detenzione governativi per migranti, gli abusi sono da anni la norma. Il governo italiano ha rinnovato il memorandum, auspicando un miglioramento delle condizioni. La Croce rossa potrebbe avere un ruolo nel monitoraggio?
Anche il diritto di asilo è normato da una convenzione di Ginevra, ma quella del 1951, che la Libia non ha mai sottoscritto. E il trattamento dei migranti in questo paese è inumano. Fui critico sul memorandun di intesa nel 2017, quando venne stipulato, e ribadisco oggi la nostra contrarietà. Un tavolo di verifica delle condizioni dei centri di detenzione non può avere nessuna utilità, fin quando la Libia non avrà ritrovato una stabilità interna. Non è un porto sicuro, i centri di detenzione non sono uno strumento adatto, la Libia deve sottoscrivere le convenzioni di Ginevra a protezione dei rifugiati e processare le richieste di asilo e di protezione. Questa è quello che chiediamo. E di questo deve farsi portatore il nostro Paese. Ma non è la nostra sola richiesta, c’è anche il bando delle armi nucleari.
L’Italia non ha ancora sottoscritto, diversamente da altri 129 paesi, il bando delle armi atomiche del 2017.
Gli ordigni nucleari non guardano in faccia a nessuno. Il principio di distinzione tra combattenti e civili sancito nel 1949 salta completamente. L’Italia, coerentemente agli impegni presi e nel rispetto della sua storia, dei suoi valori e delle sue tradizioni deve sottoscrivere il bando. Diversamente, finché esisterà la minaccia atomica, le convenzioni di Ginevra rischiano di essere letteralmente polverizzate. Non c’è deterrenza che tenga. L’unica scelta possibile è la distruzione totale di tutte queste armi dal nostro pianeta.
Nei nostri confini sono presenti testate nucleari B-61. Circa 50 nella base aerea di Aviano, che ospita arei Usa, altre 40 bombe nella base italiana a Ghedi.
Il bando prevede il divieto di tenere armi atomiche sul proprio territorio. Detenere armi di distruzione di massa, accettando implicitamente la possibilità di usarle, fa diventare una barzelletta la sottoscrizione dell’Italia alla Convenzione del 1949. Chiedo al mio Paese che torni ad essere il paladino, il modello, l’esempio della custodia dei diritti fondamentali dell’essere umano, principi che nella Convenzione di Ginevra hanno trovato una sintesi perfetta. Nessuno può impedire i conflitti, purtroppo, ma debbono esserci regole da rispettare. La prima è quella della vita dei civili.