venerdì 29 aprile 2011
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Richiestissimi, introvabili, costosi, gli asili nido in Italia sono la vera chimera dei nuclei familiari con figli. Sullo sfondo di politiche di conciliazione famiglia-lavoro che non decollano, i genitori di bimbi piccoli continuano a fare i conti con posti disponibili sempre al di sotto delle necessità, tariffe alle stelle e, nel cuore, anche con il timore di lasciare nelle mani sbagliate i propri pargoli se l’alternativa è la baby sitter o la struttura privata. E se Istat e governo segnalano dati incoraggianti, qualcuno storce il naso sui ritardi che penalizzano ancora le famiglie. Il Piano nazionale triennale nidi ha fatto crescere, secondo quanto segnalato dal Dipartimento delle politiche per la famiglia, l’accoglienza nei nidi e nei servizi integrati italiani 0-3, privati compresi, rendendo 'produttivi' i fondi stanziati dall’esecutivo: 446 milioni nel 2007, cui si sono aggiunti circa 281 milioni di cofinanziamento locale. L’accoglienza è al 17,8% tra nidi (pubblici e privati) e servizi integrativi, ma gli standard europei fissati dal Consiglio europeo di Lisbona del 2000 parlavano di un 33% entro il 2010 della copertura di posti. Gli ultimi dati Istat, riferiti al 2008, indicano come la spesa per le famiglie con figli minori sia stata pari 2,7 miliardi di euro, con un incremento del 7,7% rispetto al 2007. Il 56% delle risorse impiegate, ha sottolineato l’Istituto di statistica, è assorbita dai costi di funzionamento delle strutture, di cui gli asili nido rappresentano la componente principale, con oltre un miliardo e 118 milioni di euro spesi e più di 176mila bambini accolti in strutture comunali o convenzionate. Nel 2008 si contano circa 30mila bambini in più, rispetto al 2004, che usufruiscono di tali strutture. Le cifre, però, che un rapporto di Cittadinanza un paio di anni fa aveva messo in risalto, resta di fatto immutato: a essere tagliato fuori dall’accoglienza è più o meno il 25% dei richiedenti. Le regioni più disagiate quelle del Sud, benchè il governo dal 2006 al 2013 abbia destinato 375 milioni per le otto regioni del Mezzogiorno per la prima infanzia. Solo in Sicilia, il 68,5% dei comuni non ha un asilo nido pubblico e i bambini sono appena il 5,16% degli aventi diritto, gli altri sono in lista d’attesa o si rivolgono alle strutture private. Su 147.600 bambini da 0 a 3 anni, soltanto 7.600 risultano iscritti. Uno degli ultimi ripetuti appelli lanciati nel corso degli anni da parte di organizzazioni di settore, è quello del Forum delle associazioni familiari, che grida allo scandalo per le tariffe mensili richieste: «Ma possibile - si chiede l’associazione - che debbano essere sempre e solo le famiglie con figli a pagare per prime?». Ma se per il Dipartimento per la famiglia «l’Italia non è all’anno zero» in tema di servizi per l’infanzia, secondo Cittadinanzattiva il piano straordinario dedicato, «così come predisposto, rappresenta una misura necessaria ma assolutamente non sufficiente. Solo il 4,6% dell’intera spesa per la protezione sociale italiana è destinata alla voce Famiglia, maternità, infanzia». L’associazione in difesa dei cittadini, segnala come, peraltro, le cose siano cambiate poco o nulla dall’ultimo rapporto stilato due anni fa sui costi: «Se nell’ultimo anno il tasso di copertura del servizio è aumentato dell’1,6%, le rette sono cresciute dell’1,4%». La spesa media per i nidi si aggira sui 297 euro al mese, pari a 3mila euro all’anno per famiglia, cifra che schizza a quasi 6.000 euro se si risiede a Lecco, città più cara d’Italia con una retta pari a circa 572 euro al mese. Scarso ancora, in Italia, il ricorso ai nidi aziendali, anche nella pubblica amministrazione, per i quali il governo nel 2009 aveva stanziato 25 milioni di euro. «Soldi che in effetti - ha ammesso il Dipartimento - non sono stati utilizzati». Intanto, a macchia di leopardo, qualche Regione si attrezza con le tagesmutter, le «mamme di giorno», abbattendo i costi per le famiglie e offrendo opportunità occupazionali alle donne con figli.
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