Il sesto vertice tra governo e parti sociali per la riforma del lavoro si è chiuso ieri sera dopo cinque ore di discussione in un clima peggiore di quello in cui era cominciato. Anche se l’esecutivo accelera e punta a chiudere la trattativa in dieci giorni, l’intesa appare al momento ancora lontana e i diversi protagonisti della vicenda viaggiano in ordine sparso.L’aspettativa ieri era quella di terminare l’incontro con un’intesa di massima sui contratti e sul nuovo sistema degli ammortizzatori sociali, definendo il nodo delle risorse disponibili, per tentare poi sciogliere nei prossimi giorni il nodo dei nodi, l’articolo 18.Invece la decisione del governo di anticipare al 2015 (si era parlato del 2017) l’entrata in vigore del nuovo sistema di tutele e una parte delle proposte delineate dal ministro Elsa Fornero durante il vertice non sono piaciute né ai sindacati né a Confindustria, che in una conferenza stampa a tarda sera hanno espresso perplessità. A calcare più la mano è stata Susanna Camusso, leader della Cgil, che ha parlato di «passo indietro». Ma anche il segretario della Cisl Raffaele Bonanni pur registrando «passi avanti» chiede «correzioni». Mentre la numero uno di Confindustria Emma Marcegaglia afferma di «condividere nel complesso» lo schema proposto dal governo però giudica troppo breve la transizione di tre anni prevista per portare a regime il nuovo sistema.La settimana resta comunque cruciale per le sorti del negoziato, dato che lunedì prossimo è già convocato un nuovo tavolo plenario a Palazzo Chigi con il presidente del Consiglio Mario Monti. Ieri in apertura il ministro del Lavoro ha indicato nel 21-23 marzo la
dead line per concludere l’intera trattativa. «Abbiamo sempre lavorato per l’accordo con le parti parti sociali e per questa prospettiva lavoriamo anche in questa ultima fase», ha assicurato. Ma i tempi ora sono davvero stretti. Già oggi il governo invierà due documenti distinti alle parti sui temi affrontati ieri: uno riguardante i contratti e l’altro l’assicurazione per i disoccupati, perno del nuovo sistema di ammortizzatori. Sempre da oggi (vedi articolo sotto) partiranno i tavoli bilaterali sull’articolo 18 e sulla flessibilità in uscita, un tema non ancora affrontato e sempre capace di far saltare l’intera trattativa.Sui sostegni al reddito la trattativa si era incagliata nelle scorse settimane sul nodo degli ammortizzatori, sul quale pendeva l’incognita delle risorse pubbliche disponibili. «Non sono in grado di dirvi dove saranno trovate le risorse, ma il governo è impegnato a ricercarle», ha detto Fornero, assicurando inoltre che i nuovi fondi non saranno sottratti «ai capitoli del welfare». Troppo poco per rassicurare i sindacati. Il punto di maggiore frizione ha riguardato poi la proposta del ministro di ridurre i tempi di transizione per l’entrata in vigore della riforma, rispetto ai 5 anni annunciati. «L’unica cosa su cui siamo preoccupatissimi», ha detto Bonanni, è «la transizione breve», che anticipa al 2105 lo stop alla mobilità. Con la crisi e l’aumento dell’età pensionabile provocherebbe, avverte il leader Cisl, «un’ecatombe sociale». Il governo ha confermato infatti che che il nuovo sistema si reggerà infatti su due sole gambe: la cassa integrazione e l’«Assicurazione sociale per l’impiego», un sussidio di disoccupazione che assorbirà quelli esistenti. Per Camusso, però, «non c’è un’estensione degli ammortizzatori», non ci sono nuove risorse e il nuovo sistema «non sarà universale» perché «parasubordinati e autonomi non entreranno». Perplessità anche dal leader dell’Ugl Giovanni Centrella.Intanto, prima del vertice di ieri, sia Bonanni sia il leader della Uil Luigi Angeletti hanno escluso una chiusura del tavolo senza la Cgil, anche se le posizioni sindacali restano diversificate. «Noi stiamo facendo la trattativa e continuiamo a farla», ha detto Susanna Camusso, a chi chiedeva se si ci sia aria di accordo separato: «Non vedo aria, non vedo spifferi, vedo una trattativa difficile».