Riforma del lavoro, avanti piano. Il Consiglio dei ministri ha approvato ieri il provvedimento sotto forma di disegno di legge, quindi senza caratteri di urgenza, e con la formula «salvo intese», che permette ulteriori correzioni e limature del testo prima dell’invio in Parlamento. Sui licenziamenti il governo non fa passi indietro e non contempla il reintegro del lavoratore in caso di licenziamento economico ingiustificato. Ma introduce paletti anti-abusi, come promesso giovedì da Mario Monti a fronte del coro di preoccupazioni e proteste delle parti sociali: se il lavoratore dimostra che la vera ragione del licenziamento è discriminatoria o disciplinare, il giudice applica le relative sanzioni, che contemplano anche il reintegro al lavoro. Se il passo sarà sufficiente a superare il fuoco di sbarramento messo in campo da sindacati, Pd e opposizioni è presto per dirlo. Ma intanto scegliendo la strada del ddl il governo lascia al Parlamento la massima libertà di intervenire sui testi anche se non impedisce tempi rapidi di approvazione. Una scelta non a caso apprezzata dal partito di Bersani, che chiede modifiche, e contestata invece dal Pdl. Novità importante poi è la previsione di un «rito procedurale veloce» per le controversie in materia di licenziamenti, in modo da ridurre i costi indiretti delle cause. Cambia ancora la tempistica di introduzione dei nuovi ammortizzatori sociali: l’indennità di disoccupazione Aspi andrà a regime dal 2016 e non dal 207 come era stato detto. La transizione parte dal 2013.Il via libera del Consiglio dei ministri è arrivato dopo più di cinque ore di discussione. E i capitoli più dibattuti sono stati proprio quelli dei licenziamenti e dell’accelerazione dei relativi processi. Smentita dal ministro dello Sviluppo Economico Corrado Passera l’indiscrezione di un’agenzia di stampa secondo la quale avrebbe proposto lo stralcio dell’articolo 18: Il ministro ha detto infatti di «appoggiare totalmente» la proposta del premier.In dieci capitoli e 26 pagine la riforma, spiega Palazzo Chigi, punta a «realizzare un mercato del lavoro dinamico e flessibile e inclusivo, capace di contribuire alla crescita e alla creazione di occupazione di qualità».Molte le novità ma il piatto forte resta l’articolo 18, con la revisione delle sanzioni per i licenziamenti individuali illegittimi. Il punto più controverso riguarda appunto quelli di natura economica, unico caso che non contempla più in alcuna forma il reintegro del lavoratore. Una scelta contro la quale nei giorni scorsi si è scagliata la Cgil e che anche Cisl, Uil e Ugl vogliono cambiare. La nuova bozza conferma che il giudice «ove accerti l’inesistenza del giustificato motivo oggettivo addotto» dispone il pagamento al lavoratore di un’indennità tra le 15 e le 27 mensilità di retribuzione. Il reintegro non c’è. Tuttavia c’è una novità perché «è fatta salva la facoltà del lavoratore di provare che il licenziamento è stato determinato da ragioni discriminatorie o disciplinari, nei quali casi il giudice applica la relativa tutela». In questi casi il giudice deve sempre annullare il licenziamento (se discriminatorio) o scegliere tra reintegro e indennizzo se c’è un ingiustificato motivo disciplinare. In sintesi quando è evidente il carattere strumentale del licenziamento economico il lavoratore può ottenere una maggior tutela. «È una novità molto interessante – commenta a caldo il numero due della Cisl Giorgio Santini – che avvicina la nuova disciplina a quel modello tedesco che noi abbiamo chiesto, anche se ci riserviamo un giudizio più compiuto o quando avremo l’articolato definitivo». Un’altra novità, che va nella direzione di quanto chiesto da Cisl e Uil, è il fatto che la bozza preveda una procedura preventiva di conciliazione di fronte alle Direzioni territoriali del Lavoro per i licenziamenti economici, in quella sede il lavoratore – afferma il testo – «può essere assistito anche da rappresentanti sindacali». È un contesto dove può emergere l’eventuale strumentalità del licenziamento.