A scrutare in quel fitto e intricato groviglio di relitti che pioggia e sole si stanno mangiando pezzo dopo pezzo, si possono ancora distinguere i rilievi di una memoria trattenuta. Come un fantasma prigioniero del suo esilio senza pace. Relitti che raccontano degli occhi e dei volti di migliaia di esseri umani, uomini, donne e bambini, e del loro sacrificio, compiuto inoltrandosi, dal sud del mondo, nel canale di Sicilia, diretti a nord rotta 0.05 gradi, cavalcando le onde e proiettando il proprio destino sull’isola di Lampedusa. Nel cimitero discarica delle carrette del mare di Lampedusa, tutto o quasi è stato spaccato e sminuzzato, in attesa di essere digerito da un inceneritore. Le forme originali dei barconi con le scritte in arabo, si sono perse, impastandosi con la terra. Come è accaduto per quegli esseri umani che schiacciati come sardine, in quei legni ci hanno navigato in condizioni estreme. Perseguitati dal terrore e dalla paura. Popoli africani per lo più, irregolari, clandestini per le leggi internazionali. Uomini che hanno poi raggiunto nuove terre che col tempo sono divenute nuove patrie. Mentre tanti altri, e mai si saprà esattamente quanti, non ci sono riusciti. Annegati in un mare che ha cancellato ogni possibile minuta traccia dalla quale potere ricostruire una storia che diventi tomba su cui far cadere una preghiera dei parenti.Lampedusa è tornata un’isola. Di sbarchi clandestini, di stragi in mezzo al mare, di proteste per la presenza di centri per immigrati, di agitazioni di popoli, non se ne registrano ormai da mesi. Anche se le storie umane continuano su altre rotte. Sembrano storie lontane nel tempo. Ma da qualche mese sulle piste clandestine che portano sull’isola di Lampedusa si sta registrando una battuta d’arresto nel sopraggiungere nascosto dei barconi, a volte intercettati in alto mare dalle motovedette della Guardia costiera, della Finanza o dei Carabinieri, e degli sbarchi nottetempo sulle spiagge. L’ultimo in ordine di tempo risale alla metà dicembre sulla piccola Linosa, trenta miglia più a nord di qui, dove da una imbarcazione sono stati buttati a mare 14 nordafricani che a nuoto hanno raggiunto terra. Una tregua. Almeno per il momento.«È tutto di colpo cambiato - racconta un ristoratore del porto vecchio -. Non viviamo più nel caos di quella che si presentava come un’isola militarizzata. Forze dell’ordine dappertutto. E il centro per immigrati che scoppiava di gente e i titoli dei giornali e dei telegiornali che urlavano: "Emergenza a Lampedusa". Polemiche a non finire. C’era la paura per il turismo... Mentre adesso che non arrivano gli irregolari, ci sono i lampedusani che vanno via, costretti a lasciare l’isola per cercare una occupazione altrove. Nel mio ristorante non vengono più gli agenti di polizia e i giornalisti, come un anno fa. Quando ci fu la rivolta nel Centro di accoglienza. Adesso sento solo il vento e il mare».La targa di marmo con la firma autografa dello scultore Paladino che ha realizzato la «Porta di Lampedusa, porta d’Europa», è stata rotta da un colpo di vento. Nessuno si è mai occupato di imbullonare il piedistallo al terreno. Poco più in là ci sono due sacchi di plastica di rifiuti e bottiglie di birra rotte.Nel «Centro soccorso di prima accoglienza» (Cspa,
ndr), quello che andò a fuoco per la rivolta nel gennaio 2008 e che poi è stato ristrutturato, «zero clienti, gli ultimi sono stati trasferiti sulla terraferma nel mese di giugno», racconta un militare al cancello d’ingresso. E per questa motivo la società «Lampedusa accoglienza», che cura la gestione degli 850 posti letto tutti vuoti, ha dovuto lasciare a casa una cinquantina di dipendenti. Un brutto colpo per l’economia di molte famiglie locali.Ma anche se gli irregolari sono respinti dalle motovedette in alto mare, o trainati a Porto Empedocle, «noi siamo sempre pronti nell’eventualità di arrivi improvvisi, che non possiamo escludere - spiega il vicedirettore del Cspa, Paola Silvino che con la memoria traccia ricordi umani di indimenticabile condivisione, nonostante le tensioni dei momenti più difficili -. Anche il Centro di identificazione e espulsione (Cie), 150 posti letto, è vuoto. Ma teniamo una regolare manutenzione».Bernardino De Rubeis, «sindaco scomodo» si descrive, tra l’altro al centro di una inchiesta per concussione di cui si dice estraneo, dice: «Per i trafficanti, colpevoli di tanta sofferenza umana, Lampedusa non è più una meta sicura, causa la forte, seppur discutibile, azione dei respingimenti. Ora dobbiamo rafforzare la nostra vocazione turistica, sempre in una visione di accoglienza, come in passato è stato fatto con gli immigrati. Una sofferenza che non va comunque dimenticata».