La Repubblica democratica del Congo (Rdc) ha raggiunto, la settimana scorsa, la più alta concentrazione di sfollati in Africa. Oltre 3,8 milioni di profughi. «Nella Rdc è in atto un cambio significativo del conflitto – sostiene l’Onu –: le tensioni tra le comunità stanno crescendo radicalmente e le violenze colpiscono nuove aree del Paese». Nonostante la complessità delle dinamiche dei massacri nella provincia centrale del Kasai o di quella nordorientale del Kivu, la ragione della strage è principalmente una sola: la fame a livello in- ternazionale di risorse naturali. Una corsa disperata verso diamanti, oro, petrolio, rame, cobalto, coltan, ferro e molto altro. Per salvarsi dall’escalation, centinaia di migliaia di persone si riversano negli Stati limitrofi: Ruanda, Burundi, Uganda. Nel vicino Sud Sudan, la crisi dei profughi è stata definita come «la più veloce a crescere a livello mondiale ». Si stima che i bambini fuggiti dalla guerra civile in corso siano «due milioni».
Alcuni rimangono nel Paese, altri scappano da soli o con la famiglia e vanno a costituire il 62 per cento degli oltre 1,8 milioni di rifugiati che raggiungono Uganda, Kenya, Etiopia e Sudan. «Nessuna crisi come quella sudsudanese mi preoccupa più al mondo – ha dichiarato, lo scorso maggio, Valentin Tapsoba, funzionario dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Acnur) –. Il fatto che siano dei bambini rifugiati a diventare il volto di questo conflitto è estremamente fastidioso». Le strutture d’accoglienza in Uganda faticano a contenere gli arrivi. «Più di 900mila rifugiati, l’86 per cento donne e bambini, hanno raggiunto l’Uganda per sfuggire a uccisioni, stupri e altre violazioni dei diritti umani – afferma un recente rapporto di Amnesty International –. I Paesi ricchi non stanno aiutando ». Al contrario, l’Uganda è stata celebrata dal quotidiano statunitense, Wa- shington Post, come «un esempio di compassione e generosità verso i profughi».
Nel Corno d’Africa, invece, la crisi somala – in corso ormai da trent’anni – è il principale motore dell’esodo. Un misto di guerra e carestia sta divorando il Paese, costringendo alla fuga circa un milione di persone. Molti di essi hanno raggiunto il più grande campo profughi al mondo: Dadaab, nel nord-est del Kenya. Un luogo che le autorità di Nairobi vorrebbero chiudere. Per ora, gli occupanti vivono in una sorta di limbo: chi ha provato a tornare in Somalia, ha visto un territorio devastato, ed è tornato indietro. Altri invece sono rimasti con la paura di essere bollati come «illegali» o «terroristi», e soffrire delle aggressioni da parte delle forze di sicurezza.
In Eritrea, è la feroce dittatura di Isaias Afewerki a spingere i propri cittadini verso l’estero. Molti si fermano nei Paesi confinanti, altri si avventurano passando per il Sudan e la Libia con la speranza di raggiungere soprattutto l’Inghilterra. Dall’altra parte del Continente, dove imperversa un conflitto di matrice jihadista e separatista, la situazione non accenna a migliorare. Mauritania, Burkina Faso, Senegal e Costa d’Avorio continuano a ricevere rifugiati della guerra civile nel nord del Mali. Una situazione simile caratterizza il nordest della Nigeria. Là, i jihadisti di Boko Haram hanno lanciato un’offensiva che dura dal 2009. Sono oltre 20mila i morti (altre fonti parlano di 100mila). Una crisi che sta avendo drammatiche ripercussioni in Ciad, Niger e Camerun. In quest’ultimo Paese sono arrivate 91mila persone, molte delle quale stanno rientrando in Nigeria volontariamente, mentre altre vengo rimpatriate dalle autorità locali.
Sempre in Nigeria, come in diversi Paesi dell’Africa occidentale, c’è, però, anche un’ondata di persone che a causa della mancanza di lavoro è spinta a cercare una vita migliore negli Stati più vicini. Un flusso assai difficile da misurare, ma imponente e continuo. Infine, ci sono i più disperati. Gli africani che s’imbarcano in Senegal per raggiungere la Spagna. Oppure quelli che passano per la città nigerina di Agadez, attraversano il deserto per arrivare in Libia, e poi pagano per imbarcarsi nel Mediterraneo e raggiungere l’Europa. Pochi sopravvivono.