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Una vita nel limbo, tra coloro che chiedono di ottenere la cittadinanza italiana e che si vedono, invece, privati di ogni diritto. A. D., 44enne di origini albanesi che abitava a Pavia, si è tolta la vita a Roma sabato scorso dopo aver cercato invano per mesi di ottenere il riconoscimento della cittadinanza e perdendo, per contro, lo stato di apolide con l’attribuzione di quella del suo Paese di origine. Una vita complicata, che nascondeva anche una profonda ferita sociale: A. era una ex vittima della tratta della prostituzione giunta in Italia alla fine degli anni Novanta dopo essere stata rapita, ancora minorenne, da una organizzazione albanese. Proprio nel nostro Paese,
Adelina trova la forza di denunciare i suoi aguzzini ai carabinieri facendone arrestare 40 e denunciandone 80. Salvata dalla strada, diventa la paladina di tutte le ragazze che come lei finiscono vittime della tratta: partecipa a numerose trasmissioni televisive, è instancabile quando si tratta di salvare vite dalla strada. Un impegno quasi ventennale fermatosi a causa della malattia: a Brindisi le viene diagnosticata una neoplasia mammaria grave, che la spinge a trasferirsi a Pavia per le cure. Qui viene subito accolta sia dal San Matteo di Pavia che dalla diocesi: viene indirizzata alla Casa della Carità di via Pedotti, dove il coordinatore don Mauro Astroni l’accoglie come una sorella.
Dopo la parentesi alla Casa, la diocesi le trova una sistemazione in un piccolo appartamento nel cuore di Pavia dal quale lei spesso si affaccia per veder passare le auto dei carabinieri, i suoi angeli custodi in divisa. Ma la burocrazia si mette per traverso: A. perde il diritto ai sussidi e la possibilità di diventare cittadina italiana. Vuole rivolgersi al presidente Mattarella e protesta a Roma, dandosi fuoco. Intervengono le forze dell’ordine, la portano in ospedale e le consegnano il foglio di via, consigliandole di allontanarsi il prima possibile. Tutte le speranze di A. volano via in un inutile quanto disperato tentativo di sentirsi italiana davvero.