mercoledì 9 febbraio 2011
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Arsi vivi, investiti, folgorati, affogati, assiderati, morti in culla. È una lista straziante di dolore incomprensibile, fatta di nomi, volti storie da tutta Italia. Quasi cento tra bambini e ragazzi, entrati in contatto con i volontari della Comunità di Sant’Egidio che negli ultimi 25 anni hanno perso la vita in circostanze tragiche e inaccettabili. Piccoli amici cui si sono uniti, domenica notte, Sebastian, Patrizia, Fernando e Raul, i quattro fratellini del rogo sull’Appia.Senza pretese statistiche, la lista del dolore fotografa la condizione di violenta emarginazione dei rom in Italia. Paolo Ciani, responsabile dell’attività con i Rom e i Sinti della Comunità, se li ricorda bene: «Sono ragazzi che abbiamo conosciuto personalmente, loro e le loro famiglie, con cui abbiamo condiviso un tratto di vita aiutandoli per la scuola, affiancando i genitori e i nonni». I numeri di questo piccolo campione dicono che la prima causa di morte, in ventisei casi, sono stati gli incidenti. Soprattutto stradali, minaccia costante per chi vive nei campi sulle strade di periferia. Straziante il caso di Denis Hrustic, 5 anni, morto nel maggio 1989 a Milano, investito da un autobus mentre lavava vetri al semaforo. Tra gli incidenti, ci sono anche 4 casi di minori annegati: a Novara il 30 luglio 1988 Lolo Kolompar, 4 anni, cade nel fiume. Stessa sorte a Roma per Odissea, 18 mesi, che annega vicino al campo di Ponte Marconi il 10 marzo 2006. Così anche per Dragan, 17 anni, nel Lago di Bracciano, e per Violetta e Cristina, 11 e 13 anni , che affogano in mare a Napoli.Inquietante l’incidente di Fabio Halilovic, 16 anni. Muore il 2 febbraio a Roma nel campo di via di Salone, ucciso da un carabiniere. «Tornava in macchina con gli amici – racconta Paolo Ciani – ed è stato colpito. Dicono che non si erano fermati a un posto di blocco, ma gli hanno sparato all’interno del campo. Il militare è stato condannato in secondo grado per omicidio colposo». Nebosa muore a Rimini nel settembre 1992. Come i suoi coetanei gioca in posti pericolosi: folgorato mentre è vicino a un traliccio. Poi c’è il fuoco. Ben 19 i piccoli rom che muoiono soffocati o ustionati. Come i tre fratelli e il cuginetto rumeni, arsi vivi l’11 agosto 2007 a Livorno: Leunuca, Danchiu, Eva e Menji. Muoiono nell’incendio del campo di via Gordiani il 3 dicembre 2006 Ljuba e Sasa, detti Lilli e Sale. «Lilli era mia figlioccia», ricorda Paolo Ciani. «Era serba, si battezzò e comunicò a S.Maria in Trastevere – racconta – e con Sasa, soprannominato Sale, li abbiamo conosciuti piccolissimi. Hanno lavorato come volontari al Rigiocattolo per aiutare i bambini malati di aids in Africa. "Noi che siamo nati qui e stiamo meglio, diceva Lilli, possiamo aiutare chi è arrivato ora ed è in difficoltà"».Tanti altri, dice, ne ha uccisi il freddo. Come Marina Czimiz di 2 mesi a Genova, lungo il Bisagno, il 25 novembre 1987. E poi nel gennaio 1995 a Roma, al Casilino 700, prima Ken e poi Maria, neonati. Ipotermia anche per Giada Ahmetovic, 25 giorni, morta a Scafati, Salerno, il 24 gennaio. Altri cinque muoiono di pertosse, broncopolmonite, meningite. Otto neonati se ne vanno per le condizioni igienico-sanitarie dei campi. Loro e tutti gli altri sarebbero ragazzi grandi e sani se fossero nati in case riscaldate, sicure, con le visite del pediatra.
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