venerdì 14 giugno 2019
Venti milioni di italiani sono costretti a rivolgersi al privato per garantirsi il diritto di accedere alle cure Il motivo? Liste d’attesa invalicabili o chiuse
Foto Ansa

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Pagare o rinunciare a curarsi. Succede in Italia, al cuore di un sistema sanitario fondato sul principio sacrosanto di uguaglianza nell’accesso alle terapie. Che, con evidenza, sta scomparendo. Ricchi o poveri, settentrionali o del Sud, 20 milioni di italiani (per l’esattezza 19,6) sono costretti a mettere mano al portafoglio per le prestazioni sanitarie che non riescono più ad ottenere dal servizio pubblico. Una vera e propria emergenza sanitaria, sostanziata da liste d’attesa invalicabili o addirittura chiuse che negano i tanto dibattuti Livelli essenziali di assistenza (Lea) a un italiano su tre.

È solo l’inizio. La fotografia scattata dal IX Rapporto Rbm-Censis sulla sanità pubblica, privata e intermediata è quella di una popolazione sola davanti alla malattia: la spesa privata è salita a 37,3 miliardi di euro (+7,2% dal 2014), mentre quella pubblica registra un –0,3%. Il 62% di chi ha effettuato una prestazione sanitaria nel sistema pubblico ne ha fatta almeno un’altra nella sanità a pagamento (il 56,7% delle persone con redditi bassi, il 68,9% di chi ha redditi alti).

Ancora: nell’ultimo anno il 44% degli italiani si è rivolto direttamente al privato per ottenere almeno una prestazione sanitaria, senza nemmeno tentare di prenotare nel pubblico, mentre in 28 casi su 100 i cittadini – visto che i tempi d’attesa erano eccessivi o dopo aver trovato le liste chiuse – hanno scelto di effettuare le prestazioni a pagamento (il 22,6% nel Nord-Ovest, il 20,7% nel Nord-Est, il 31,6% al Centro e il 33,2% al Sud). I numeri dell’odissea quotidiana, per quelli che l’indagine chiama “i forzati della sanità”, sono sconfortanti: per una visita endocrinologia nel sistema sanitario pubblico si aspetta in media 128 giorni, 114 per una diabetologica, 65 per una oncologica, 58 giorni per una neurologica, 57 per una gastroenterologica, 56 per una visita oculistica. Tra gli accertamenti diagnostici, racconta il rapporto, ci sono in media 97 giorni d’attesa per una mammografia, 75 per una colonscopia, 71 per una densitometria ossea, 49 giorni per una gastroscopia.

E nell’ultimo anno il 35,8% degli italiani non è riuscito a prenotare, almeno una volta, una prestazione nel sistema pubblico perché ha trovato le liste d’attesa chiuse. La spesa sanitaria privata media per famiglia ha raggiunto quota 1.437 euro. Entro fine anno le prestazioni sanitarie pagate dai cittadini, passeranno da 95 a 155 milioni. «Occorre pianificare un veloce passaggio da una sanità integrativa a disposizione di pochi (circa 14 milioni di italiani hanno una polizza sanitaria, ndr) ad una sanità integrativa diffusa, un vero e proprio welfare di cittadinanza» è l’appello di Marco Vecchietti, amministratore delegato di Rbm Assicurazione Salute.

Anche perché la necessità di pagare personalmente cresce in base al proprio stato di salute: per i cronici la spesa sanitaria privata è in media del 50% più elevata di quella ordinaria, per i non autosufficienti è di quasi 3 volte quella ordinaria, per gli anziani il doppio. «Questo è un tema che ho fortemente cercato di risolvere e ora le Regioni hanno la possibilità di erogare la prestazioni in intramoenia o con delle convenzioni nel privato accreditato facendo pagare solo il ticket al paziente. Io direi che non ci sono più scuse, è solo un problema organizzativo » è il commento della ministra della Salute Giulia Grillo. Il riferimento è alle nuove regole contenute nel Piano nazionale sulle liste d’attesa approvato lo scorso febbraio, che ha stabilito tempi massimi per garantire le prestazioni (da 30 a 180 giorni a seconda della gravità della patologia) e che è stato pesantemente criticato dai sindacati dei medici per aver fatto i conti al netto delle risorse disponibili sul territorio, cioè sempre meno medici.

E proprio con questi ultimi, sull’argomento (strettamente correlato all’insoddisfazione rispetto al sistema sanitario) delle aggressioni, s’è confrontata ieri la ministra accogliendo dopo mesi di appelli l’invito della Fnomceo. «In Italia un medico su due ha subito aggressioni verbali nell’ultimo anno e il 4% è stato vittima di violenza fisica» è l’allarme lanciato, dati alla mano, dal presidente Filippo Anelli. E Grillo è tornata a insistere sulla necessità che il Senato approvi il ddl contro la violenza sugli operatori sanitari, approvato a settembre del 2018 dal Consiglio dei ministri e ancora fermo in Commissione Igiene e Sanità a Palazzo Madama in attesa di diventare legge.

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