Carlo Acutis - Archivio Avvenire
«Essere sempre unito a Gesù, ecco il mio programma di vita». Era un tipo deciso e risoluto Carlo Acutis, il ragazzo milanese morto a 15 anni per una leucemia fulminante. Leggendo dei libri, aveva imparato da solo a usare il linguaggio di programmazione dei computer, a realizzare i siti web e persino a suonare il sassofono.
A breve sarà proclamato beato (sabato scorso è stato pubblicato il decreto che riconosce un miracolo avvenuto per sua intercessione), ma già in passato papa Francesco lo ha presentato come modello da seguire per i giovani di oggi. «La via suggerita da Carlo ai suoi coetanei – spiega la madre, Antonia Salzano – è una via semplice, basata su un rapporto personale e continuo con Dio. Giocava a pallone, usava i videogiochi, andava a scuola e all’oratorio. Ma metteva sempre Cristo al centro della sua vita. Da quando aveva sette anni andava a Messa tutti i giorni, partecipava all’Adorazione eucaristica, leggeva le Sacre scritture e i libri sulle vite dei santi. E poi si dedicava agli altri. A scuola, aiutava chi era più timido, chi veniva preso in giro, chi attraversava momenti di difficoltà perché i genitori si stavano separando. In parrocchia dava sempre una mano, anche come catechista, per poi uscire e portare cibo e sacchi a pelo ai senzatetto, dopo aver svuotato il proprio salvadanaio. Viveva ogni momento in pienezza e con gioia».
Una serenità proseguita fino alla morte, nell’offerta delle proprie sofferenze per il bene della Chiesa: «Non temeva la fine – racconta ancora Antonia – perché per lui in quel momento iniziava la vera vita, nell’incontro con l’amato. Gli stessi medici erano sbalorditi dal suo coraggio, ma lui temeva soltanto il Purgatorio». Alla base di tutto c’era una fiducia profonda in Dio, alimentata costantemente dall’Eucarestia, che definiva «autostrada per il Cielo». «Tutti nascono buoni, sono speciali, voluti da Dio fin dall’eternità con un progetto unico e irripetibile, come uniche e irripetibili sono le impronte digitali, diceva Carlo. Potenzialmente quindi siamo tutti santi e mio figlio è solo un esempio. Ci sono ragazzi che possono essere ancora più santi. Basta, semplicemente, volerlo».
E i ragazzi lo desiderano davvero? Risponde ancora la madre di Carlo: «Spesso lo chiedo durante gli incontri con gli studenti. Se i giovani non cercano la santità è perché spesso chi è intorno a loro non riesce a trasmetterne il valore. Siamo chiamati in causa anche noi genitori ed educatori, che avremmo il compito di comunicare la bellezza di essere a immagine di Dio. Carlo ci ha provato per tutta la sua breve vita. "Se la gente capisse l’importanza dell’Eucarestia – diceva – ci sarebbero le chiese talmente affollate da non riuscire ad entrare". E ci ricordava sempre che ciascuno di noi ha Gerusalemme sotto casa, ovunque ci sia un tabernacolo con il Santissimo».
Una testimonianza concreta, quella di Carlo, come spiega don Stefano Guidi, direttore della Fondazione diocesana degli oratori milanesi (Fom): «È un giovane di questa generazione, positivo, ben radicato nel suo tempo, che ha saputo vivere alla grande l’esperienza della fede. Così come Pier Giorgio Frassati, anche Carlo ci dimostra che il Vangelo è praticabile anche oggi e che non è affatto un messaggio vecchio o per i vecchi. Era un ragazzo normale, che stava vivendo le belle trasformazioni e le inquietudini tipiche di quell’età. Siamo pronti e felici a mettere in contatto i ragazzi dei nostri oratori e delle nostre comunità con la sua testimonianza di fede e di vita».
La gioia per la beatificazione echeggia anche in Umbria. Il corpo di Carlo – morto a Monza nel 2006 – riposava nel cimitero di Assisi, su sua stessa richiesta. Dallo scorso aprile è stato traslato all’interno del Santuario della Spogliazione, nel luogo in cui il Poverello si tolse le ricche vesti davanti al padre Pietro di Bernardone per indossare il saio dei poveri. «Per noi è un grande privilegio – racconta Selene Degli Esposti, codirettrice del Servizio di pastorale giovanile diocesana della diocesi di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino – ed è bello che Carlo abbia voluto essere seppellito in questa terra di santi. Abbiamo visto che in molti sono entrati in chiesa a pregare davanti alla sua tomba. Arrivavano anche da lontano eppure si sentivano immediatamente vicini a lui. I ragazzi non vogliono sentirsi raccontare teorie che poi non hanno riscontro nella vita, ma hanno bisogno di testimonianze concrete. Carlo è un giovane che sa parlare ai giovani, che ci fa capire che la Grazia passa dalle cose semplici. È un dono che il Signore ci ha dato per aiutarci a riflettere sulla ordinarietà della santità. A questo punto l’impegno è nostro. Dovremo essere capaci di raccontare nel modo migliore questa storia».