La Libia non è un Paese sicuro. E a causa del conflitto “la situazione è grave”. E’ questa la posizione delle autorità militari italiane che, a giudicare dalle comunicazioni via radio ottenute da “Avvenire”, vanno nella direzione opposta a chi anche in questi mesi ha sostenuto che, in presenza della cosiddetta guardia costiera libica, non vi sia ragione per sottrarre i migranti al rischio di venire deportati nei campi di prigionia libici.
La prova è contenuta nei messaggi radio trasmessi domenica 7 febbraio da un velivolo militare del nostro Paese in pattugliamento nel Canale di Sicilia. L’equipaggio vede sul radar e poi sorvola un motopesca, presumibilmente della marineria siciliana, che si sta spingendo in acque internazionali che dal 2005 Tripoli rivendica come proprie.
L’intera registrazione, che qui pubblichiamo nei passaggi salienti, conferma una delle più serie ambiguità nel Mediterraneo Centrale. Ad ogni salvataggio di migranti da parte delle navi umanitarie, le autorità marittime italiane chiedono agli equipaggi che hanno operato il soccorso di rivolgersi alla capitaneria di porto di Tripoli. Una prassi vietata dal diritto internazionale quando si ha a che fare con Paesi in guerra. Nel corso delle comunicazioni, ai pescherecci viene invece ordinato di rientrare verso Nord, perché la Libia è un Paese in conflitto, come del resto ribadiscono le Nazioni Unite che non a caso invitano gli Stati a non cooperare nel respingimento dei naufraghi verso le coste libiche, perché non ritenute “luogo sicuro di sbarco”.
L’ultimo fine settimana è stato tra i più difficili. Più di 1.550 persone in mare, 800 deportate in Libia, 424 soccorse da Ocean Viking, di Sos Mediterranee, che dopo giorni ha ottenuto l’assegnazione del porto di Augusta dopo essere stata invitata anche da Roma a contattare le autorità libiche, nonostante le autorità militari ritengano che a Tripoli “la situazione è grave”. Sempre nel Canale di Sicilia Open Arms ha soccorso nei giorni scorsi 45 persone, poi trasferite da una motovedetta italiana a Lampedusa. Di almeno 130 persone non si hanno notizie da giorni e si teme siano definitivamente disperse.
Per scoraggiare la pesca in acque giudicate a rischio, specialmente dopo il lungo sequestro dei 18 pescatori della marineria di Mazara del Vallo, dal velivolo militare si mettono in contatto con il peschereccio chiedendo di passare al canale radio marino 72, abitualmente adoperato per comunicazioni tra navi e tra navi e aerei. L’operatore incaricato di contattare la plancia del motopesca è chiaro: “La situazione è grave”. E perché non ci siano dubbi, ripete: “La situazione di conflitto presente in Libia”.
Prima però viene ricordato “che vi trovate all’interno della zona di pesca protetta”, un ampio specchio di mare che dal 2005, all’epoca del colonnello Gheddafi, Tripoli dichiarò unilateralmente come “zona di pesca esclusiva”, pur trattandosi di acque internazionali. “Si comunica inoltre che siete in una zona pericolosa”, spiegano dall’aereo, a causa di “assetti navali libici che potrebbero intervenire nell’ambito delle proprie attribuzioni”.
A questo punto la comunicazione non lascia ai pescatori molte possibilità. “La situazione è grave - scandisce la radio -. La situazione di conflitto presente in Libia”, in conseguenza della quale “è aumentata la pericolosità in queste acque”.
Già il 18 aprile 2019 “Avvenire” aveva pubblicato alcune registrazioni nelle comunicazioni interne tra Italia e Tripoli che svelavano una serie di anomalie, con la centrale dei soccorsi di Roma che sembrava coordinare gli interventi delle motovedette libiche in mare. Questa nuova registrazione svela altre ambiguità. Con i militari a riconoscere che a Tripoli c’è un conflitto, e la politica che invece da anni smorza i toni volendo sostenere e incoraggiare la cosiddetta guardia costiera libica.
Proseguendo nelle istruzioni trasmesse dall’aereo, i pescatori vengono avvertiti di come “per il momento non vi sono assetti militari italiani nelle condizioni di potere intervenire”. Inoltre, viene ricordato che “la normativa nazionale italiana articolo 7 e 22 del decreto legge 4 del 2012 vieta la pesca in acque sottoposte alla sovranità di altri stati e che per la legge italiana costituisce reato”. Perciò la presenza dei pescatori sarebbe stata segnalata “alle competenti autorità nazionali che valuteranno le azioni giudiziarie da adottare al riguardo”, ferma restando “la disponibilità delle unità della Marina Militare a prestare assistenza in caso di necessità”.
A questo punto dall’aereo domandano se l’addetto radio del peschereccio abbia ascoltato e compreso: “Diamo per assodata la comunicazione”. Poi, con tono meno formale, l’aereo militare saluta: “E niente, vi consigliamo di spostarvi verso Nord quanto prima. Ciao”.