La gente in Piazza Duomo - Fotogramma
Si è rotto qualcosa a Milano. La città delle grandi ambizioni, dei sogni possibili per tutti, sembra che stia tradendo la sua missione. Una Milano a due velocità, con una crescita economica sempre meno inclusiva e le disuguaglianze sempre più marcate. «La condizione di Milano è insoddisfacente. È una città che continua a correre. L'avvio si è preso con l'Expo e ora è proiettata tutta sulle Olimpiadi. E, nel correre, non si è accorta che sta perdendo dei pezzi per strada: il ceto medio, i giovani, cioè tutte le persone che nel tempo hanno costituito la sua maggiore ricchezza. Mentre per combattere le disuguaglianze si fa ancora troppo poco. Come per gli studenti e i giovani, per esempio sul fonte casa. O li mettiamo al centro, oppure ogni proposito e progetto parte con il piede sbagliato». Così Marco Garzonio, presidente della Fondazione culturale Ambrosianeum ha presentato ieri mattina il “Rapporto sulla città 2022 - La Milano che siamo, la Milano che sogniamo”, riflessione - ormai trentennale - proposta in collaborazione con Fondazione Cariplo, per indagare sui cambiamenti nella città a partire, oggi, dalla pandemia e dal tempo di travaglio che viviamo. Con Garzonio nella sede storica della Fondazione Ambrosianeum, c’erano Rosangela Lodigiani, professore associato di Sociologia dei processi economici e del lavoro all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e curatrice del rapporto, Elena Granata, docente di urbanistica al Politecnico di Milano, e il giornalista Gad Lerner. Tante domande, tante visioni di una città che “siamo” ben lontana dalla “città che sogniamo”, nei vari contributi - dall’Arcivescovo di Milano, Mario Delpini, al rettore della Cattolica Franco Anelli o il direttore della Caritas Luciano Gualzetti - che animano il volume. Al punto – è la suggestione di Garzonio – di realizzare un “Museo del Sogno” per Milano: «Vorrei che donne e uomini, bambini, giovani, anziani, nati in questa città e venuti sin qui a cercar fortuna avessero l’opportunità di andare a scuola di sogno; che è come andare a scuola di vita. Il sogno infatti altro non è che vita vera, vita vissuta. Lo sappiamo bene, senza bisogno di essere specialisti: tutti sogniamo». Un «museo aperto», dunque, al contributo di tutti. Con la consapevolezza che se «il mondo è malato, lo è non accidentalmente ma proprio a causa dei nostri comportamenti».
I “sogni” di Milano sono su più fronti: disuguaglianze economiche e sviluppo sostenibile, speculazioni edilizie e caro-casa, limiti del sistema sanitario, accoglienza dei migranti e sicurezza, relazioni sociali e ambiente. «Milano è a un bivio – dice Lodigiani, nel chiudere un ciclo di dieci anni di Rapporti -. Ma non è una sensazione solo di oggi. È un tema che ricorre. Anche dopo la crisi del 2008-2010. Milano poi riparte, alla sua velocità, quasi come se non avesse memoria di quello che è stato. In realtà Milano fa i conti – come tutte le città internazionali - con le sue complessità e contraddizioni. E la sfida di sentirsi perennemente al bivio». C’è da anni, in particolare, una fascia di popolazione che sta in un silenzioso «cono d’ombra»: sono i “Trentenni in cerca d’autore”, già oggetto del rapporto del 2013. «Quei giovani-adulti che chiedono di lavorare, di fare famiglia, di realizzare i loro sogni in città. E che fanno fatica. Se ci sono le diseguaglianze estreme - riprende Lodigiani - non dimentichiamo che in mezzo ci stanno tantissime persone di cui si parla poco, ma che rischiano di scivolare in un limbo di disagio e di sofferenza. C’è una grande vulnerabilità in questa città». Un punto su cui Milano può fare la differenza, e che appartiene alla sua storia, è “il fare e il fare insieme”. Milano capitale del lavoro. Ma di quale lavoro? «La pandemia - continua Lodigiani - ha mostrato che nessuno è un’isola, nessuno si salva da solo. Il lavoro ci mette in relazione con gli altri. E allora il senso del lavoro non può essere solo al servizio dell’economia, con profitti eccezionali da una parte e lo scandalo di lavoratori sviliti dall’altro. Sogno una città che sa qual è il senso del lavoro. Quello che produce società». Gad Lerner negli anni post Tangentopoli conduceva un programma intitolato “Milano, Italia”. «All’epoca - dice il giornalista - sembrava che la trasformazione, il futuro dell’Italia passasse da Milano. Oggi sembra quasi che Milano si separi. La città dei ricchi che esclude gli altri. E quindi bisogna ripensarlo questo modello, perché si tratta di una pericolosa deriva per la città».
Dalle pagine del Rapporto, spunti di riflessione e illuminazioni per ritrovare la strada, per gli invisibili, le donne, i giovani, e poi sulla sostenibilità, la sanità. Come quella iniziale dell’arcivescovo Delpini: «Vado pellegrino o forse mendicante per le vie di Milano e raccolgo frammenti di luce e scintille di rabbia in ogni dove. Quando mi dicono: “Come va Milano?”, non so rispondere. Se mi domandano: “Che cosa sogno per Milano?”, mi azzardo a suggerire: “Una tessitura di rapporti per un buon vicinato, una prossimità paziente a ogni solitudine e desolazione, una promessa lieta che sia invito alla speranza, una organizzazione amica della gente, una gente che si organizzi per una città in cui sia desiderabile abitare”. Mi azzardo a suggerire un compito e una responsabilità. O almeno la pazienza di raccogliere frammenti di luce». Fra i pezzi di quello che si è rotto. In una Milano in qualche modo da ri-costruire. Con i sogni di tutti.
L'urbanista del politecnico Granata: una visione miope su casa e ambiente
«Milano è una promessa. Ma che succede se la promessa non la si mantiene?». Elena Granata, docente di Urbanistica al Politecnico di Milano, nel dare il suo contributo al Rapporto Milano 2022 della Fondazione Ambrosianeum, lancia la provocazione. «Qualcosa si è rotto» a Milano, a causa di un «colpo molto forte» come la pandemia che, intrecciata alla crisi climatica e geopolitica, ha messo a nudo un aspetto che forse prima appariva meno evidente: negli anni «si è rotta la promessa della città nei confronti di chi la abita. Quella promessa di benessere e realizzazione personale non è più universale, non è più destinata a tutti. Oggi Milano integra qualcuno, accoglie qualcuno, offre la casa a qualcuno soprattutto se molto ricco, ed esclude una generazione più giovane, famiglie con i figli che vorrebbero vivere qua, vorrebbero investire su questa città ma non possono, dunque si ricollocano e vanno altrove», sottolinea Granata. Il caro-casa diventa l’emergenza e allora la professoressa incalza: «Le politiche comunali per la casa non devono dimenticare che sono figlie delle politiche urbanistiche di questa città. Nel momento in cui si è premiato lo sviluppo immobiliare, si sono saturate le aree, si è investito sul mattone, poi dopo non possiamo stupirci che il mercato della casa ovviamente ha un incremento di valore materiale straordinario». Allora «cerchiamo di mettere delle pezze, di fare housing sociale, ma il punto è che andrebbe destrutturato il problema a monte, lavorando in sinergia tra politiche urbanistiche e politiche della casa - evidenzia Granata - . Io questo link non l'ho visto, ho visto un generoso tentativo di intervenire sulla questione casa però che dimentica il pezzo fondamentale di una città che va verso Cortina, che densifica, che costruisce grattacieli e satura le sue aree. Questo ha degli impatti sulla casa pesantissimi, non vedere le due cose oggi forse è un po’ miope».
Lo stesso sul fronte ambientale. «Guardo con grande preoccupazione questa città che parla di green, Forestami e Pnrr e poi non ha un fazzoletto di terra libero per piantare alberi, perché ipoteca suoli per investimenti immobiliari». Granata, che nel biennio 2020/21 è stata membro dello “Staff Sherpa” della presidenza del Consiglio dei Ministri per il G7/G20 sui temi delle trasformazioni urbane, critica anche il dibattito in corso a Milano sul nuovo stadio, dicendo di averne una «cattivissima impressione». Perché fa emergere «la contraddizione di Milano» nel «dire delle cose e praticarne altre». «Ovviamente - spiega Granata - è miope pensare di moltiplicare gli stadi. Addirittura si parla di abbattere il Meazza, che ha dei costi ambientali folli, e al contempo si disegna qualche timida pista ciclabile e invocando una città green». Per questo Granata pensa sia necessario virare verso «un modello di sviluppo più sensibile alla natura e all'ambiente, che oggi è anche quello più adeguato a produrre ricchezza. Non vedo dissociazione tra una città che punta allo sviluppo, e quindi anche a generare ricchezza, con l'attenzione alla natura, la mitigazione degli impatti ambientali, l'obiettivo di abbassare di due o tre gradi la temperatura di questa città».
L'edizione numero trenta di un diario intimo collettivo
Si intitola “La Milano che siamo, la Milano che sogniamo” il “Rapporto sulla città - Milano 2022”, realizzato dall’Ambrosianeum Fondazione Culturale grazie al contributo di Fondazione Cariplo ed edito Franco Angeli. L’edizione numero trenta chiude la straordinaria stagione di riflessioni sulla città avviata dagli inizi degli anni Novanta, sotto la guida prima del professore Eugenio Zucchetti e poi della sociologa Rosangela Lodigiani. Quest’anno un “Rapporto-in house”, per inaugurare presto un format completamente rinnovato. Firmano i testi i componenti del consiglio direttivo e di alcuni membri del comitato sostenitori della Fondazione. Tra gli autori: l’arcivescovo di Milano Mario Delpini, il presidente della Fondazione Marco Garzonio, il rettore della Cattolica Franco Anelli, il direttore della Caritas Luciano Gualzetti, e ancora tra molti altri Elena Granata, Rosangela Lodigiani, Giorgio Lambertenghi Deliliers, Mario Colombo, don Matteo Crimella, Elisabetta Falck. Il risultato è una lettura corale e plurale, un “diario intimo collettivo” sulla città arricchito dalle fotografie di Margherita Lazzati che ci accompagnano in una Milano contesa tra passato, presente e futuro.