«L’Aquila, anche se ferita, potrà tornare a volare». Le parole di speranza che suggellano la sua visita nelle zone del terremoto, Benedetto XVI le pronuncia proprio sul piazzale che ha visto il dolore e le lacrime per le vittime, nel mesto venerdì santo dei funerali. Ma ora è tempo di Pasqua e il Papa è qui, come egli stesso sottolinea nella preghiera conclusiva, per incoraggiare a «vedere la luce della risurrezione, oltre la sofferenza e la morte». Bisogna farlo per i sopravvissuti, ma anche per gli stessi morti. I quali, aveva detto poco prima il Pontefice nella tendopoli di Onna, «attendono di veder rinascere questa loro terra che deve tornare a ornarsi di case e di chiese belle e solide».Naturalmente l’accenno alla solidità degli edifici fa pensare subito alla ricostruzione. Degli edifici, ma anche delle persone. Un’operazione colossale da intraprendere senza indugi e senza «ostruzionismi». Perché, come fa notare l’arcivescovo, monsignor Giuseppe Molinari nel suo saluto al Papa, «la ricostruzione dell’Aquila o ci sarà subito o non ci sarà. E sarebbe la nostra morte. Più brutta di quella, già tanto tragica, causata dal terremoto». In altri termini «un delitto infame», aggiunge il presule, che fin dal primo giorno sta condividendo le sofferenze dei suoi fedeli e dorme egli stesso in una tenda.Così le tre ore o poco più che il Pontefice trascorre tra Onna e il capoluogo acquistano la loro giusta fisionomia. Innanzitutto la vicinanza. «Vorrei abbracciarvi con affetto ad uno ad uno. Se fosse stato possibile avrei desiderato recarmi in ogni paese e in ogni quartiere, venire in tutte le tendopoli», dice Benedetto XVI. Quindi il plauso: «Non vi siete arresi. C’è in voi una forza d’animo che suscita speranza». Infine l’appello: «Incoraggio tutti, istituzioni e imprese, affinché questa città e questa terra risorgano».In effetti è come se in ognuna delle tappe della visita Papa Ratzinger fissasse, con la sua presenza, con le parole dei due discorsi (che Avvenire pubblica integralmente), con la sua preghiera, con i suoi gesti di affetto e con i doni, i paletti di un progetto di rinascita che si deve nutrire di «solidarietà» («da non limitare all’emergenza iniziale»), di «responsabilità» («con un serio esame di coscienza»), di «volontà tenace» e soprattutto «facendo ricorso - sottolinea fin dall’arrivo - a ciò che non muore e che il terremoto non ha distrutto» e cioè «l’amore».L’itinerario di Benedetto XVI si snoda proprio su queste coordinate. Costretto dal maltempo a rinunciare all’elicottero, il Papa giunge a Onna dopo le 10. Piove a dirotto sulla tendopoli del paese raso al suolo dal sisma (40 morti su 300 abitanti). Ma i superstiti sono tutti lì ad attenderlo, incuranti del freddo e dell’acqua che inzuppa i vestiti. E lo stesso fa il Papa, a malapena riparato dal bianco ombrello che il segretario, monsignor Georg, protende sul suo capo. Insieme agli altri ci sono anche monsignor Molinari, il nunzio in Paraguay, monsignor Orlando Antonini, originario di Villa Sant’Angelo, altro centro gravemente colpito, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta, in rappresentanza del governo, e il parroco di Onna, don Cesare Cardoso. «Santità, la ringraziamo di essere venuto tra noi», gli dice quest’ultimo. «Io sono con voi fin dal primo giorno con la preghiera», gli risponde il Pontefice, prima di venire praticamente inghiottito dai 250 sfollati, tutti assiepati intorno a lui.Per i più vicini Benedetto XVI ha sorrisi, carezze e una parola di conforto. A tutti, poi, salito sull’improvvisata pedana di legno che divide due tende della Protezione Civile, rivolge il primo dei due discorsi della giornata. Riferirà poco dopo ai giornalisti don Cesare, di aver visto negli occhi dei suoi parrocchiani riaccendersi con l’arrivo del Papa una luce che si era spenta nelle ultime settimane. «Lui ci aiuterà a ricostruire la fede, prima ancora delle case», commenta il sacerdote. L’applauso, che sa di gratitudine, di questa gente semplice ma indomita, accompagna quindi il Pontefice mentre sale su un Suv della Protezione Civile, al fianco del coordinatore nazionale Guido Bertolaso che guida, e che lo conduce nella parte vecchia del paesino, completamente distrutta.A L’Aquila il Papa arriva dopo una mezzoretta a bordo di un pulmino bianco, mentre la pioggia finalmente dà tregua. E la "porta" d’ingresso in città è la Basilica di Collemaggio. Di fronte alla porta vera del tempio gravemente danneggiato, quella detta "Santa" che sta sul lato dell’edificio, l’arcivescovo Molinari ripete il gesto della Perdonanza. Bussa per tre volte con un ramoscello d’ulivo del Getsemani e i battenti si spalancano. Appena oltre c’è la salma di Celestino V, sulla quale il Papa, visibilmente emozionato, depone il pallio che gli fu imposto quattro anni fa, il giorno dell’inizio del suo Pontificato. Non è previsto che entri, per il pericolo di crolli. Ma la visione dello squarcio nella zona absidale, da cui si vede il cielo, e del cumulo di macerie che occupa tutto il presbiterio, è un impulso troppo forte. Benedetto XVI si porta al centro della navata e quasi attonito, confida al rettore del santuario, don Nunzio Spinelli: «Adesso che vedo con i miei occhi, mi rendo conto che è peggio di quanto si intuiva in tivù».Sul viso del Pontefice il dolore e la commozione si leggono chiaramente, mentre continua il giro in città, passando per la piazza del duomo, e soffermandosi qualche attimo davanti alla chiesa delle Anime Sante con la sua cupola sbriciolata. Ma egli trova la forza di sorridere ai giovani che incontra alla Casa dello Studente e che gli consegnano anche una lettera di ringraziamento. Sono gli universitari della vicina parrocchia di San Giuseppe Artigiano, accompagnati da don Luigi Epicoco. Gli dicono che molti di loro frequentano ingegneria. E allora raccomanda: «Studiate bene, così costruirete case più sicure».L’ultima tappa è a Coppito, sul piazzale della Scuola della Guardia di Finanza, dove lo accolgono 5mila fedeli, i sacerdoti e i sindaci (salutati a parte, prima della breve cerimonia) e i volontari marchigiani che hanno allestito l’ospedale da campo e ai quali il Papa - che salendo un gradino rischia di inciampare - rivolge un grazie speciale. Così come fa per i Vigili del Fuoco quando gli regalano un casco bianco, che egli, divertito, prova per qualche secondo. Poi, a sua volta, Benedetto XVI dona una rosa d’oro alla statua della Madonna di Roio. «Madre della nostra speranza», la invoca il Papa. Quella speranza che ora ha qui, finalmente, il suo epicentro e che non mancherà certamente di estendersi a tutta la zona del terremoto. Per far sì che l’Aquila torni a volare.