Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, con il premier Giuseppe Conte in una foto d'archivio - Ansa / Ufficio Stampa Quirinale / Francesco Ammendola
La crisi-non-crisi più indecifrabile della pur lunga e travagliata storia repubblicana. La novità, da ieri mattina, con la salita sul Colle di Giuseppe Conte, è l’ingresso in campo dell’Arbitro finora nemmeno informato dai contendenti. Tutti presi, nell’ottica di Sergio Mattarella, a inseguire quegli «illusori vantaggi di parte» che aveva chiesto di non far prevalere. Ma, a sera, ancora al Quirinale si attendevano dai protagonisti della contesa segnali univoci in base ai quali aprire o meno formalmente la crisi e - se del caso - mettersi al lavoro per una soluzione della stessa o - viceversa - per prendere atto che una soluzione non c’è. Nel qual caso l’unica strada resterebbe il ritorno alle urne.
Si è mosso il Pd ai massimi livelli per rendere noto a Conte quel che lui già sapeva, e che cioè Mattarella era molto rammaricato per l’escalation verbale, per i toni ultimativi usati. Così il presidente del Consiglio in tarda mattinata ha deciso di salire al Quirinale, per informare il presidente sulla faticosa approvazione del Recovery, ma soprattutto per un esame della situazione politica.
Mattarella ha chiesto di sciogliere i nodi al più presto anche perché lo stesso piano del Recovery richiede ancora una lunga navigazione in Parlamento, e affidarsi ai Responsabili sarebbe una vera a e propria avventura. Conte ha assicurato per parte sua ogni sforzo per lavorare a una ricucitura con Renzi e infatti nelle sue parole, dopo il colloquio sul Colle, non c’era più traccia dell’ultimatum fatto uscire il giorno precedente da Palazzo Chigi sull’irrecuperabilità di una eventuale rottura di Iv.
Al premier dal Pd erano arrivati segnali di più miti consigli di Italia Viva, della possibile evoluzione positiva era stato informato anche Mattarella. Poi l’accelerazione di Renzi, o meglio la mancata frenata della sua corsa ormai lanciata verso le dimissioni delle due ministre. Ma al Quirinale manca ancora, particolare non da poco, l’«esegesi autentica» delle decisioni di Italia viva. Se è crisi vera (con l’uscita dalla maggioranza) o se si continua a trattare, votando con la maggioranza i provvedimenti all’esame urgente del Parlamento, per andare a una "crisi pilotata" verso un Conte ter. E soprattutto non si conosce la reazione del premier alle durissime parole di ieri sera, per capire se nonostante tutto sia ancora disposto a trattare con Renzi (dal momento il leader di Iv ha detto anche di non avere veti per un suo reincarico, con la riscrittura del patto) o se sceglie a a questo punto la conta in aula.
Insomma dopo la mezza schiarita della mattinata sul Colle prevale un clima di forte preoccupazione e di ulteriore attesa. Che non può durare a lungo, soprattutto di fronte alle comprensibili pressioni che vengono dall’opposizione, che chiede a gran voce di parlamentarizzare la crisi al più presto.
Tutte le strade sono ancora aperte, e Mattarella si tiene pronto. La strada maestra, a questo punto complicatissima, resta la ricomposizione della stessa maggioranza sul nome di Conte. Ma resta il nodo delle dimissioni, esattamente come prima, per di più con le durissima parole di Renzi di ieri che pesano come un macigno.
Un politico di lungo corso come Pier Ferdinando Casini scommette ancora sulla schiarita: «A volte dal male può nascere il bene, non escludendo che da questa crisi possa nascere «un governo coeso e propositivo». La soluzione più lineare, anche per Mattarella, a voler chiudere la contesa, sarebbe l’ingresso dello stesso Renzi, magari agli Esteri. Non si esclude nemmeno l’incarico per un Dem, a mediare lo scontro in atto (Lorenzo Guerini?). Ma lo scenario peggiore, un incarico istituzionale per andare velocemente verso il voto, è un piano B che Mattarella certo non può escludere. In questa crisi pazza, imprevedivile e - ai suoi occhi - sempre più incomprensibile per gli italiani in grave difficoltà.