Trecento gli ospiti a tagliare il nastro dell'associazione "Incontri", a Cerro Maggiore
Mario non li può vedere, ma li sente tutti e trecento, stringe le mani, accoglie gli abbracci. I suoi occhi sono bianchi, ciechi dalla nascita, ma oggi ridono perché è festa grande nella “Casa di Mario”, splendida villa con ampia piscina (dotata di sollevatore per disabili), nel giorno dell’inaugurazione ufficiale. «Ora si chiama così, “Casa di Mario”, ma se ci verranno ad abitare altri disabili cambierà nome: il mio obiettivo è trovare altre persone che hanno bisogno, sarò felice di ospitarle a vivere insieme a me, la mia casa è per tutti».
Quel giorno “Casa Mario” cambierà anche nome, dunque... È questo il dettaglio che meglio racconta l’umanità di Mario Rampini, 38 anni, inchiodato a una carrozzina dalla nascita ma anche deciso a prendere in mano la propria vita e organizzare il futuro, il suo e quello di altre persone, non necessariamente disabili ma certamente bisognose di una famiglia. «È una casa grande e molto bella, può fare felici tante persone, perché tenerla solo per me? L’unione fa la forza e io voglio riempirla di gioia. Certo, è ancora tutto da organizzare, dovrà funzionare a dovere». Il tema in fondo è quello del “Dopo di noi”, l’angoscia che accompagna il passare degli anni di tutti i genitori con figli fragili, consci che prima o poi li dovranno lasciare. Ma questa volta la prospettiva rovesciata è un “dopo di loro”, visto dalla parte del figlio: «L’idea della “Casa” mi è venuta un anno fa pensando soprattutto al mio futuro», racconta nella frescura del salone, mentre fuori il via vai degli invitati aumenta (un sasso tra strada e giardino tiene aperto il portone, non occorre neanche suonare), «questa casa era in vendita da tempo, i proprietari erano venuti diverse volte a chiedere se volevamo comprarla, visto che i miei genitori e la famiglia di mia sorella vivono accanto, ma era enorme, cosa ce ne facevamo? Poi due anni fa siamo partiti con amici per Santiago de Compostela, abbiamo fatto il Cammino con un pullmino attrezzato per la carrozzina...».
Che c’entra il Cammino? «Siamo tornati “illuminati”», intervengono Maria Pia, 67 anni, ex docente di Lettere, e Roberto, 74, direttore di banca in pen- sione, «e il proprietario è tornato alla carica quando ormai avevamo il giusto scopo per comprare la casa: ci sono tanti disabili dell’età di nostro figlio che nel giro di pochi anni dovranno trovare una nuova famiglia altrimenti finiranno in un istituto, qui nascerà una casa-famiglia per cinque o sei di loro. Non è affatto facile, anche a livello normativo e organizzativo, per questo oggi inauguriamo l’associazione L’Incontro ». Lo spiegano poco dopo anche alla folla di amici venuti da Cantalupo, da Cerro Maggiore, da Milano e anche da Varese, seduti sotto il palco allestito in giardino (in prima fila anche la sindaca Nuccia Berra): «È vero, nostro figlio ha bisogno di essere alzato la mattina, vestito, accompagnato al lavoro... ma il suo vero bisogno è un altro: ci sarà qualcuno che gli vorrà bene, dopo di noi, come gliene abbiamo voluto noi? Se ci sarà, se gli vorrà bene, verrà anche il resto». Insomma, a differenza degli altri disabili Mario non cerca sostegni e assistenza, per lui questo non sarà un problema e già adesso vive nella “Casa” con un collaboratore ecuadoriano sempre a sua disposizione. «Io cerco persone che mi diano l’affetto di cui tutti, nessuno escluso, abbiamo bisogno per vivere, una vera famiglia per il mio futuro, penso a due giovani sposi con figli, magari anche con un figlio disabile, che presto vengano ad abitare qui con me, in modo da iniziare a volerci bene fin da adesso. Durante il giorno madre o padre potrebbero uscire a lavorare, come faccio io, oppure invece il lavoro potrebbe già essere il gestire noi disabili ».
È la merce più rara, l’affetto sincero e disinteressato, e forse per questo tra i chiamati a testimoniare ci sono anche Maria Teresa e Roberto Cristiani di Crema, due genitori dell’associazione Papa Giovanni XXIII di don Benzi, l’inventore della casa-famiglia: «Noi abbiamo tre figli naturali più cinque accolti», raccontano dal palco, «sono persone di ogni età proprio come avviene nelle vere famiglie, dove convivono genitori, figli sani e disabili, anziani nonni». Oggi si sono portati solo Roberto, cerebroleso dalla nascita, figlio loro da 18 anni, quando i suoi genitori sono morti: «Da fuori si vede un gran da fare nelle nostre famiglie, ma non siamo né pazzi né eroi, ogni persona che accogliamo è Gesù che entra nella nostra casa». Fu don Benzi stesso a dire loro «non siete voi che portate Roberto, è lui che porta voi a Gesù», «così ogni volta che rischiamo di perderlo preghiamo: Signore, lascialo qui ancora un po’, perché se me lo porti via faccio fatica a trovarti. Quando una persona si sente scelta, è lì che nasce la relazione: ti ho scelto come un figlio anche se non ti ho generato, questa è la dimensione della casa-famiglia». Mario annuisce, è proprio ciò che intende. Tra le persone che vorrebbe accogliere nella futura famiglia c’è anche una “zia”, un’anziana del paese rimasta sola, «è lucida e brillante, perché dovrebbe finire i suoi giorni in un ospizio? C’è posto anche per lei». Ma c’è molto di più per un’associazione che si chiama “Incontri”: «Su Avvenire due mesi fa ho letto la storia di Tiziana Bernardi, dirigente Unicredit che ha lasciato la carriera per dedicarsi al monastero benedettino di Mvimwa, in Tanzania – annuncia Mario –, ci siamo incontrati e abbiamo deciso che dalla “Casa di Mario” partirà un progetto per fondare a Mvimwa un centro per i 22 disabili che vi sono ospitati. Abbiamo coinvolto la cittadinanza e, vista l’adesione di questa sera, la risposta è forte». C’è anche Tiziana alla festa, insieme ai docenti del Politecnico di Milano e ai loro studenti di ingegneria biomedica pronti a partire con lei per la Tanzania... Fa una videochiamata dal cellulare e anche i monaci di Mvimwa sono “collegati”, ora ci sono proprio tutti.
È quasi sera quando il parroco don Roberto Verga celebra la Messa, ed è Mario a leggere le letture passando le dita sul foglio bianco scritto in braille (l’essenziale è invisibile agli occhi...). Poi il giardino si trasforma in teatro e la chitarra di Walter Muto accende la festa.
Mario è felice, ha capovolto il mondo e i suoi cliché, è lui che apre la casa agli altri, è lui – il disabile – che dà accoglienza, spiegando semplicemente che «dividere il peso su molte spalle fa pesare meno la croce». Ed è lui che assicura: «Tra due anni sarò in Tanzania con Tiziana, taglierò il nastro al Centro per disabili».
Per associarsi o informazioni scrivere a lincontroaps@gmail.com