Franco Basaglia nel suo studio, in una foto del 1979 (Ansa)
L’ultimo rapporto sulla salute mentale parla di 807.035 persone assistite nel 2016 dai servizi specialistici sul territorio. Numeri in lieve aumento rispetto all’anno precedente che raggiungeva un totale di poco più di 770mila persone. Sono invece 349.176 quelle entrate in contatto per la prima volta durante l’anno con i Dipartimenti di Salute Mentale: si tratta soprattutto di donne (il 54% dei casi), mentre la composizione per età riflette l’invecchiamento della popolazione generale, con un’ampia percentuale di pazienti al di sopra dei 45 anni (66,9%). Quanto alle patologie, i tassi relativi ai disturbi schizofrenici, di personalità, di abuso di sostanze e di ritardo mentale sono maggiori nel sesso maschile rispetto a quello femminile, mentre l’opposto avviene per i disturbi affettivi, nevrotici e depressivi. In particolare, per la depressione il tasso degli utenti di sesso femminile è quasi doppio rispetto a quello maschile (28 per 10mila abitanti nei maschi contro il 47 nelle femmine). A quarant’anni dalla fine degli ospedali psichiatrici, con la 'legge 180' del 13 maggio 1978, meglio nota col nome del suo padre, lo psichiatra Franco Basaglia, anche se il volto della malattia psichiatrica è cambiato, tuttavia resta ancora molto da fare. Fra le principali criticità del superamento degli ospedali psichiatrici, permane un sistema di assistenza per il quale i finanziamenti sono ancora insufficienti. In alternativa agli Opg (Ospedali psichiatrici giudiziari) inoltre sono ora attive le Rems (Residenze per le Misure di Sicurezza), strutture sanitarie residenziali con non più di 20 posti letto. All’aprile 2017, si contano 30 Rems con 596 ricoverati. Uno dei problemi resta anche la carenza di personale e la situazione 'a macchia di leopardo' con grandi differenze regionali e lunghe liste di attesa.
Prete da sempre a fianco degli ultimi, il suo nome è legato anche alle battaglie combattute per applicare la legge Basaglia. Don Virginio Colmegna, 72 anni, oggi presidente della Casa della Carità voluta a Milano dal cardinale Martini, ha vissuto 11 anni a Sesto San Giovanni in comunità terapeutica con i malati appena dimessi dagli ex manicomi chiusi dalla legge. E traccia un bilancio della rivoluzione che 40 anni fa diede all’Italia l’unica normativa europea che ha chiuso le strutture ospedaliere psichiatriche sostituendole con un sistema di servizi basati sul territorio. «Fu una grande vittoria culturale – ricorda – e di coesione sociale. Anche del mondo cattolico. Infatti la legge 180 prende giustamente il nome dello psichiatra Franco Basaglia, ma ebbe un grande supporto politico dall’estensore, lo psichiatra e politico ligure Dc Bruno Orsini. E fu sostenuta anche della società civile, dai parenti dei malati e delle associazioni. C’era una spinta per superare l’idea di luoghi chiusi, discariche delle situazioni di sofferenza, marginalità e povertà. Si voleva riprendere la dimensione della cura riportandola sul territorio. Le legge prevedeva l’attivazione di servizi nel quadro di una sanità non mercantile, ma capace di una cura che partisse dalla centralità della persona».
La critica più frequente è che la legge Basaglia non riconoscesse più la malattia mentale…
No, al contrario, proprio perché ne riconosceva l’esistenza e la sofferenza che provocava, la scienza psichiatrica di Basaglia chiedeva una cura diversa che partisse dal territorio e insistesse sulla riabilitazione, per non abbandonare più il malato. Tema ancora di estrema attualità.
Che bilancio si può tracciare?
Questo anniversario deve far vi- brare le comunità e la società civile in tutte le sue articolazioni. La sofferenza e la salute mentale 40 anni dopo si presentano chiaramente in un contesto mutato e articolato. Ma la cultura della deistituzionalizzazione non riguarda solo la psichiatria, coinvolge anche il modo in cui si affronta il tema complessivo della povertà e dell’emarginazione. È stata una grande spinta a rinnovare e ha rimesso in moto il protagonismo di quelli che impropriamente si chiamano utenti e che Basaglia definiva persone cogliendone tutta la ricchezza e la dignità, perché partiva dalla cultura dei diritti. Da qui il rifiuto ad esempio di contenerli. Proprio l’affermazione dei diritti umani fa vedere i limiti dell’applicazione della legge.
Quali sarebbero?
Si sono impoveriti ad esempio i servizi territoriali, la cui apertura quotidiana spesso salta e i processi riabilitativi sono carenti. Il motivo è la mancanza di investimenti strutturali territoriali. L’ospedalizzazione come momento di cura estrema fa intravvedere come la sofferenza sia scaricata ancora sugli stessi pazienti e sulle loro famiglie. Che spesso si sono disunite, ma in Lombardia abbiamo fatto un grande cammino unitario con la Campagna salute mentale mettendole insieme. Abbiamo scoperto grazie a loro un patrimonio da cui c’è tantissimo da imparare, il protagonismo delle persone malate. Per le famiglie qui c’è un’attenzione particolare. Mettono in campo la loro sofferenza e hanno sempre fatto lo sforzo di non imbrigliarsi in polemiche sterili sul cambiamento legislativo, chiedendo invece di applicare le norme esistenti per colmare i ritardi.
Quali sono i valori autentici della legge?
Per me il valore della persona e la responsabilità della comunità locale per fermare i processi di esclusione sociale e ghettizzazione. Basaglia ci ha insegnato che la ricchezza umana va colta sempre e anche alla famiglia si restituisce importanza. Il concetto chiave è che il figlio sofferente diventa un problema di tutti e questo è possibile se non si allentano i legami solidali. Per un credente, poi, la legge è importante per il concetto di liberazione della persona sofferente. Infine a me, come sacerdote, 11 anni in comunità con le persone dimesse e sofferenti hanno donato una carica spirituale che mi ha sempre accompagnato.