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«È un bene che distribuiscano cibo, soprattutto per i bambini e le donne, ma senza un alloggio dove stare e nel mezzo di questa situazione tesa, noi rimaniamo nel limbo». È poco più che un bambino lui stesso, Romma, 17 anni, arrivato quasi tre mesi fa dal Sudan qui a Sfax. È lui a raccontarci della distribuzione di generi alimentari ai migranti, giovedì sera, da parte di un gruppo di cittadini locali, a un passo dal mercato del pesce della medina. Un segno di solidarietà quanto mai significativo, dopo giornate cariche di tensione, tra i raid di frange xenofobe di giovani tunisini che si aggiravano organizzati in bande per i quartieri popolari e i tafferugli con i migranti subsahariani, presenti a migliaia in questo centro industriale che è al momento il principale punto di partenza irregolare verso l'Italia.
Ha ancora una casa e non mette piede fuori da quattro giorni, Adama, ivoriano. Si è sigillato dentro da mercoledì, bloccato dal panico, dopo essere stato aggredito per strada. «Stiamo finendo il cibo, ci resta solo un po’ di cous cous», racconta. «Io e i miei due coinquilini abbiamo paura di uscire ad acquistare altro». Malgrado per le strade di Sfax si incontrino ragazzi subsahariani che circolano, soprattutto a gruppi, anche sotto gli occhi della polizia, Adama non vuole correre rischi. È terrorizzato per quello che gli è capitato. È in città dal 2020, lavorava come allevatore di bestiame. «Nemmeno prima la situazione era troppo tranquilla, ma questa volta ogni limite è stato superato» aggiunge. «È successo dopo la Tabaski, la festa del sacrificio, a fine giugno. Di notte non dormiamo più nel terrore di venire attaccati in casa, come è capitato agli altri». Mercoledì era uscito per fare la spesa. «Un gruppo di una ventina di persone si è avvicinato, mi ha chiesto telefono, sigarette, soldi, io ho detto di non averli. Mi hanno colpito, c’erano coltelli. Sono stato ferito, sono scappato e ho trovato un posto dove nascondermi». A Sfax era arrivato «fin dall’inizio con l’obiettivo di mettere da parte denaro per raggiungere l’Italia» ammette. Ci ha già provato quattro volte. La Guardia nazionale è sempre riuscita a intercettare le imbarcazioni. «Il passaggio costa almeno 1.500 euro. Ma io ne ho pagati mille, supplicando il trafficante tunisino di accettare quella somma. Soldi perduti. L’ultimo tentativo è stato a settembre. Siamo stati fermati dopo sei ore in acqua. Eravamo in 46. L’imbarcazione era di metallo». Come quelle assemblate nell’officina artigianale scoperta e sequestrata nelle ultime ore a Jebeniana, vicino a Sfax. «Ora aspetto che la situazione si calmi. Il mio piano è raggiungere Tunisi in treno e trovare un lavoro. Mi serve denaro per l’Italia», conclude Adama.
Prima di lui, a centinaia hanno lasciato Sfax negli ultimi cinque giorni. Come raccontato da Avvenire, alcuni sono stati fatti scendere e condotti in bus sul confine con la Libia. Venerdì a bordo del treno delle 11 erano una quarantina, arrivati tutti a destinazione nella capitale. Nessun controllo di polizia, né fermo. Anche il gruppo che avevamo incontrato mercoledì notte è salvo, il giovane guineano Oumar, che ci aveva confidato i suoi timori, si è fatto vivo su WhatsApp da Tunisi, ma restano numerose le storie di chi invece si è ritrovato in poche ore sulla frontiera con la Libia.
Mentre ancora non c'è traccia del destino del memorandum Ue sui migranti, la cui firma veniva data per imminente, vivace e serrato appare il dialogo proprio con Tripoli. Questa settimana il presidente tunisino Kais Saied ha incontrato il capo del governo libico di Unità nazionale Abdul Hamid Dbeibah per discutere di immigrazione. Poi venerdì il ministro degli Affari esteri Nabil Ammar ha avuto una conversazione telefonica con l'omologa libica, Najla El-Mangoush. Per la stampa tunisina, fra i contenuti di questa conversazione, anche un confronto sulla presenza di un certo numero di migranti subsahariani ai confini tunisino-libici. Quelli che dalla Libia cercano di entrare in Tunisia. E, verosimilmente, anche quelli che Tunisi ha respinto lì.