giovedì 6 marzo 2025
Flavio Lotti, promotore della Perugia-Assisi: gli 800 miliardi per il riarmo sono pura follia. Per evitare un conflitto permanente, l'Ue riprenda la lezione di Moro e degli accordi di Helsinki
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«Dobbiamo prepararci alla marcia per la guerra?». L’amarezza di Flavio Lotti è tutta in questa frase, che il presidente della Fondazione PerugiAssisi per la Cultura della pace pronuncia subito, quasi con rassegnazione. L'ispiratore di tante mobilitazioni non violente dell'Italia degli ultimi decenni è preoccupato. «Il piano di riarmo da 800 miliardi annunciato da Von der Leyen è pura follia, ma stupirsi adesso non serve a nulla».

Perché?

In tre anni di crisi ucraina, l’Europa non ha mai presentato un piano di pace. Ha pensato solo ad inviare armi. È possibile? Nel resto del mondo non funziona così. Due giorni fa, al Cairo i Paesi arabi hanno lanciato una strategia alternativa a quella annunciata da Trump su Gaza e la Palestina. Si sono messi insieme e hanno avanzato una proposta collettiva. Da noi, invece, nulla. Anzi, siamo al paradosso che mentre Trump dice di voler fare a modo suo la pace, i Ventisette rispondono dicendo di voler continuare la guerra.

Da dove si dovrebbe partire, dopo tutto questo tempo perso?

Ci sono almeno due cose da fare e sono a questo punto molto difficili. Primo: sostenere la Casa Bianca quando dice di voler riaprire il dialogo con Putin. Altro che fermarlo. Se il conflitto prosegue, facciamo solo il gioco del Cremlino. Secondo: ridefinire le nostre relazioni con la Russia, che è ormai ai confini dell’Europa.

Negoziare con Putin non equivale a ripetere l’errore che si fece con Hitler nel 1938, quando Praga dovette cedere alla Germania la zona dei Sudeti, senza peraltro riuscire a bloccare l’avanzata nazista?

No, chi dice questo fa pura propaganda. A parte il fatto che siamo sempre andati d’accordo con i dittatori, in questi anni... ricorda quanto accadde con i talebani? E che dire della riabilitazione appena avvenuta di uno dei peggiori tagliagole jihadisti in Siria, Al Jolani? Per evitare di ricreare nel Vecchio continente uno stato di guerra permanente, serve una visione di futuro. Cinquant’anni fa, uno statista come Aldo Moro lavorò personalmente per aprire un dialogo con l’Unione Sovietica, l’impero del male. Erano gli accordi di Helsinki e l’Italia seppe fare la sua parte.

Se l’Europa come motore di pace non è credibile, può esserlo forse l’Onu paralizzata dai veti?

Le Nazioni Unite vanno salvate da chi vuole distruggerle. Gli Usa sono usciti dall’Oms, dagli accordi sul clima, dal Consiglio dei diritti umani. Hanno attaccato la Corte penale internazionale. Così non si può andare avanti. Come movimento per la pace, siamo pronti a fare la nostra parte.

Nel movimento pacifista esistono anime diverse: c’è chi chiede una pace giusta, chi una pace equa, chi vuole la pace senza se e senza ma. Che ne pensa?

Penso che se si mette un aggettivo alla parola pace, è perché in realtà se ne vuole negare il significato autentico. O è pace o non è pace. Viviamo in un’epoca di manipolazione delle parole: pensi a quando chiediamo una pace duratura. Nulla è duraturo, anche la pace ha bisogno di manutenzione quotidiana. Il punto è che abbiamo smesso di occuparci di costruzione della pace.

Quando è successo?

Il vero dramma è iniziato con l’elogio della globalizzazione negli anni Novanta. Non servirono né Genova né Seattle, per fermarsi e riflettere: il mondo si era infatuato dei presunti benefici della globalizzazione economica e aveva dimenticato la globalizzazione della fraternità. Via via ciò a cui abbiamo assistito è stato un “tutti contro tutti”: la competizione da economica è diventata militare, come si vede adesso. Si sono moltiplicate le guerre, ma una guerra si sa quando inizia e non quando finisce.

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