La nuova via dell’oro attraversa la mappa dell’Europa da Est a Ovest: le rotte che vanno da un punto all’altro stabiliscono se e come arriverà a destinazione il tesoro più conteso degli ultimi anni, anche in casa nostra. È il gas il nuovo oggetto del desiderio, destinato a suscitare opposte passioni (e tensioni): per Russia e Ucraina, da anni acerrime nemiche, è diventato una vera e propria ossessione, mentre Turchia e Grecia potrebbero riavvicinarsi dopo anni di gelo diplomatico, in nome di comuni interessi economici. Il controllo del mercato del metano e delle infrastrutture strategiche che lo trasportano è ormai sempre di più la cartina di tornasole con cui leggere possibili svolte diplomatiche, alleanze che si infrangono e rotture inattese. Secondo stime dello Iefe Bocconi, la domanda di metano dell’Europa è destinata a crescere dai 558 miliardi di metri cubi di gas ai 751 miliardi del 2020 ma il preventivato aumento dei consumi deve fare i conti con interessi contrastanti: quello dei Paesi in posizione dominante perché controllano le risorse, Russia e Algeria su tutti, quello dei Paesi consumatori che vorrebbero spuntare tariffe più basse contando su un mercato continentale più aperto e infine quello dei Paesi emergenti, che vogliono sfruttare i propri giacimenti ma sono in alcuni casi vincolati dal rapporto col Cremlino. L’Italia è uno snodo importante a motivo della sua conformazione geografica, interessata a sud come a nord da più di un progetto infrastrutturale, con Eni (prossima a un ingresso di capitale della Libia) ed Edison pronte a giocare un ruolo di primo piano.
Le rotte strategiche. Il 10 dicembre è stata la Commissione Ue a chiedere ufficialmente a Mosca e a Kiev di risolvere «in modo definitivo» il contenzioso che, per l’ennesima volta negli ultimi anni, rischia seriamente di creare problemi alle forniture di metano per i Ventisette. Ma esiste una via del gas alternativa all’egemonia russa? E su quali progetti si fonda? Molte strade portano al Caspio, ritenuto un bacino decisivo per il futuro prossimo. Da qui dovrebbe partire il Nabucco, uno dei principali corridoi alternativi alla via siberiana: un’arteria lunga 3.500 chilometri, costo stimato oltre 5 miliardi di euro, con previsioni di fornitura intorno ai 30 miliardi di metri cubi di gas. Poco più a Sud si sviluppano altre due rotte strategiche: l’Itgi (acronimo che si rifa alle iniziali di Italia, Turchia e Grecia) e il Tap. Il primo corridoio è lungo mille chilometri, 200 dei quali sotto il mare Adriatico, e ha una potenzialità di 10 miliardi di metri cubi l’anno, di cui 8 concessi all’Edison, mentre il secondo coinvolge anche l’Albania, per concludere il suo percorso in Puglia, con analoga capacità di trasporto. Più ambiziosi, invece, sono i corridoi aperti dal North Stream e dal South Stream, rispettivamente attraverso il Mar Baltico e il Mar Nero. In entrambi i casi, però, l’obiettivo di fare a meno della Russia verrebbe vanificato dalla politica di alleanze portate avanti dal colosso Gazprom, che ha stretto alleanze da un lato con la Germania (basta ricordare la famosa alleanza siglata anni fa da Putin e Schroeder) e dall’altro con l’Eni. Dal continente africano arriverebbero invece il Galsi, diretto in Sardegna, e il Medgas, verso la Spagna. Nel complesso prende forma una vera e propria ragnatela, come racconta il libro «La guerra del gas» di Cristina Corazza.
L’Azerbaigian corteggiato. Gran parte dei progetti destinati a ridisegnare l’assetto energetico del Vecchio continente è ferma allo studio di fattibilità, senza dimenticare che la realizzazione di infrastrutture del genere comporta investimenti assai elevati, che gravano sul prezzo finale del metano per livelli anche superiori al 50%, dieci volte tanto rispetto al petrolio che invece si sposta grazie a mezzi mobili. «Ma il problema non è tanto la capacità di trasporto, né se e quando i nuovi gasdotti si realizzeranno – osserva Susanna Dorigoni, ricercatrice dello Iefe Bocconi –. La prima domanda da fare è: ci sarà gas per tutti? Dove andremo a prenderlo? La risposta più probabile è: sempre dalla Russia, tanto più che molte ex repubbliche sovietiche hanno già siglato contratti di fornitura con Mosca». L’unico Paese libero da impegni in questo momento è l’Azerbaigian, non a caso corteggiato da molti capi di Stato e capitani d’impresa, ma l’incremento di produzione più atteso non riguarda Baku, la capitale azera, ma il più lontano Kazakhstan, dove la quota di gas prodotta annualmente dovrebbe salire nei prossimi tredici anni da 23mila a 80mila miliardi di metri cubi. Ma il gas di Astana è già stato prenotato da Mosca, così come quello di Turkmenistan e Uzbekistan.
Il Gnl e gli americani. Diversa è la situazione nella vicina Georgia, al centro del conflitto con la Russia durante l’estate scorsa e snodo strategico per raggiungere le coste del Mar Nero e la vicina Turchia, come hanno dimostrato gli attacchi recenti all’oleodotto Btc che attraversa l’area. «Il Caucaso è una zona ancora più delicata dal punto di vista geopolitico – spiega Dorigoni – e l’attivismo di molte major americane che vogliono integrare le loro piattaforme di trasporto e produzione si giustifica anche con la necessità di esportare gas da parte delle economie locali, che devono gran parte dei loro profitti proprio al mercato dell’energia». In attesa di capire se l’amministrazione Obama confermerà la strategia di progressivo affrancamento da Mosca, c’è chi guarda con interesse al «nuovo» che proviene dal Medioriente e dall’Iran: è il Gnl, il gas naturale liquefatto che viene trasportato dalle navi. A beneficiarne sarà anche l’Italia, che dalla primavera prossima dovrebbe riceverlo attraverso il nuovo rigassificatore Edison di Rovigo. In tutto 10mila metri cubi di gas liquefatto, individuati in Qatar. Forse la vera sfida allo strapotere russo comincia da qui.