Una delle costruzione del borgo voluto da Adriano Olivetti nel centro di Ivrea
Ricerca, formazione e cultura come strumenti per creare nell’impresa un equilibrio tra profitto e solidarietà attraverso investimenti a sostegno della comunità locale. Una realtà produttiva dove anche i dipendenti – e l’organizzazione del lavoro – sono protagonisti del successo. È il modello di “capitalismo dal volto umano” inventato da Adriano Olivetti tra gli anni Trenta e Sessanta nell’industria fondata dal padre Camillo ad Ivrea nel 1908.
Lungimiranti e innovative concezioni che hanno toccato anche l’architettura e l’urbanistica del territorio circostante. La gloriosa fabbrica di macchine da scrivere, calcolatrici meccaniche e computer di primissima generazione nata, cresciuta e «morta» nel capoluogo del Canavese non è un’opera d’arte. E nemmeno un monumento da tutelare. L’esempio rappresentato dal suo “patron”, quel suo “personalismo economico” (equiparabile a quello “politico” incarnato da Aldo Moro) e la sua opera, fanno parte del cosiddetto patrimonio immateriale che ora non è più solo del nostro Paese ma appartiene al mondo intero. L’Olivetti è diventata, infatti, – in un tutt’uno con la città – “Patrimonio mondiale dell’umanità” dell’Unesco.
Una soddisfazione per l’Italia che consolida così il suo primato di siti – arrivati a 54, contro i 52 della Cina e i 46 della Spagna – nell’apposita lista istituita dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura.
Si tratta solo di “archeologia industriale”? Sarebbe, questa, una definizione riduttiva. Perché la stessa forma della città di Ivrea e gli edifici urbani, progettati da alcuni dei più famosi architetti e urbanisti italiani di quel periodo, rappresentano un efficace esempio delle teorie dello sviluppo urbano e dell’architettura del Ventesimo secolo anche in risposta alle trasformazioni industriali e sociali del tempo, inclusa la transizione “storica” dalle industrie meccaniche a quelle digitali. Un primordiale, primitivo passaggio all’industria 4.0 che sta segnando la nostra epoca.
Sin dal 1934 Adriano Olivetti diede un impulso decisivo, con l’iniziativa privata, allo sviluppo di Ivrea e dell’attività urbanistica cittadina promuovendo il “Piano di un quartiere nuovo”, inserito nel Prg del Comune con l’apporto degli architetti milanesi Luigi Figini e Gino Pollini, dall’ingegnere valdostano Egisippo Devoti e dall’urbanista romano Luigi Piccinato: un borgo a ridosso della scuola materna con case e servizi per gli operai (24 famiglie). Le costruzioni hanno una forma squadrata di parallelepipedi, con il tetto piano e le pareti esterne intonacate di bianco, in omaggio alla cultura architettonica di matrice razionalista. È l’inizio del quartiere di via Castellamonte (oggi via Jervis) che nel dopoguerra si espande con abitazioni progettate da Marcello Nizzoli e Gian Mario Oliveri: sei villette unifamiliari per dirigenti dell’Olivetti (1948-1952), due edifici di quattro alloggi ciascuno (1951) e la cosiddetta “casa a 18 alloggi” (1954-55). Quest’ultima si differenzia molto dalle opere precedenti: collocata in un’ampia area verde, si presenta come l’aggregazione di tre elementi di diversa altezza e diverse soluzioni formali per le facciate. Un modello unico, nel suo genere, in Europa, quello della città per gli operai. Ispirato, forse, al villaggio di Crespi d'Adda, nella Bergamasca, anch'esso sito Unesco, creato alla fine dell'Ottocento intorno a un castello da una famiglia di imprenditori tessili per i loro dipendenti: casa e bottega, la fabbrica e le abitazioni nello stesso nucleo urbano, con la scuola (i "padroni" pagavano penne, libri, quaderni e brembiulini ai figli degli operai) e persino una piscina. Più tardi anche Angelo Rizzoli si ispirerà al modello Olivetti costruendo a Milano le palazzine per i suoi dipendenti di fronte allo stabilimento tipografico.
Esempi di territorio e impresa in unità organica inscindibile. Tant’è che l’Unesco sta per dare un ulteriore riconoscimento al Made in Italy. Ha rinviato infatti al 2019 la decisione di includere nel Patrimonio dell’Umanità le Colline del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene, per il cui “imprimatur” il World Heritage Commitee invita l’Italia a presentare un dossier «con le correzioni richieste». E così, molto probabilmente, i nostri siti “premiati” saliranno a 55.