Discussione animata in Consiglio dei Ministri su cosa fare il 17 marzo, giornata designata per il festeggiamenti del 15° dell’unità d’Italia. A sposare la causa della necessità di lavorare (lanciata dalla presidente di Confindustria Emma Marcegaglia in nome del contrasto alla crisi) è stato ieri Umberto Bossi. «Sì, si deve lavorare», ha risposto ai giornalisti che lo interpellavano dopo la riunione dell’esecutivo, che tra le varie misure a sostegno dell’economia ha dovuto anche soffermarsi sulla prospettata chiusura degli uffici pubblici nel 150° anniversario della proclamazione del Regno d’Italia (che cade di giovedì e potrebbe, è il timore dei pro-lavoro, innescare un effetto-ponte con perdita di ore lavorative che cagionerebbe una perdita di quattro miliardi di euro).«Sarebbe pericolosissimo. In un momento di crisi come questo, come fai a fare il ponte? Farebbero giovedì, sabato e lunedì, non credo che gli imprenditori sarebbero contenti», il timore del leader della Lega Nord. Che ha aggiunto una considerazione sul fatto che «la festa sarà percepita in modo diverso e diversa intensità a seconda dei luoghi». Un accenno alle polemiche che stanno seguendo alle dichiarazioni di esponenti politici, come il presidente della provincia di Bolzano Luis Durnwalder (ma anche di alcuni esponenti leghisti) che si sfilano dai festeggiamenti in nome dell’appartenenza identitaria ai propri territori contrapposti alla compagine nazionale.Martedì il ministro della Semplificazione normativa, Roberto Calderoli aveva spiegato che il 17 marzo occorre lavorare, mentre, Ignazio La Russa aveva replicato dicendo che la decisione riguardo alla festa è già stata presa. Nuovo dibattito ieri con i ministri La Russa e Meloni da una parte e gli esponenti della Lega dall’altra. Sul tema sono intervenuti anche Gianni Letta e Silvio Berlusconi. «Ragioniamo, dobbiamo considerare anche l’opinione espressa da Amato (Giuliano presidente del comitato per i festeggiamenti,
ndr)», ha detto – secondo quanto viene riferito da chi ha partecipato – il sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Lo stesso Berlusconi ha lasciato aperta ogni ipotesi. «Non mi aspettavo – il ragionamento del Cavaliere – tutte queste pressioni da parte di Confindustria e di altre associazioni, cerchiamo di capire cosa fare». A riunione terminata il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi la mette sull’ironia: «La decisione è stata rinviata, adesso ne parleremo. Come direbbe Catalano: è meglio lavorare e festeggiare insieme». Il tentativo, spiega poi, è trovare una soluzione «che non pesi sulla crescita economica e consenta di celebrare l’evento come si fa ogni 50 anni». Anche perché, torna a ironizzare, «se perdo questa occasione potrei avere dei problemi con la prossima».Contro la posizione leghista si scaglia il finiano Roberto Menia per il quale «è evidente la natura antinazionale che traspare dalle sparate di Bossi e dei suoi». Il portavoce dell’Italia dei valori, Leoluca Orlando, parla di «ennesimo sfregio» all’unità nazionale. Al partito dei pro-ferie si iscrive il governatore del Lazio Renata Polverini: «Non credo che sia sprecata una festa per tenere unito il Paese». A favore della revisione della decisione governativa di dare il giorno festivo si schiera anche Arturo Iannaccone (NoiSud-Iniziativa reponsabile), per il quale «risulta difficile celebrare l’Unità d’Italia quando il Sud è ancora sostanzialmente separato dal resto del Paese». La Confapi lombarda, infine, insiste sui
danè. «Se festa deve essere allora che paghino tutti: Stato, lavoratori e imprese, non solo queste ultime», afferma il presidente del sodalizio imprenditoriale Paolo Agnelli.