mercoledì 29 luglio 2009
Presentato ieri all’Università Cattolica di Roma il primo studio che analizza il livello di attenzione ecologico e le sue ricadute sui cittadini più esposti alle malattie. Una situazione aggravata dall’assenza di sistemi di monitoraggio e gestione dei rischi. Gli effetti del federalismo.
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Malaticcia e trascurata la cara e vecchia Italia non guarda all’ambiente e soprattutto ai suoi effetti sulla salute dei cittadini. Poche le realtà virtuose che si perdono in un quadro nazionale preoccupante, incapace di rispondere sinergicamente ai diversi "attacchi" all’ambiente mossi dall’azione dell’uomo e che poi su di lui si ripercuotono. Il primo rapporto "Osservasalute ambiente 2008", presentato ieri all’Università Cattolica di Roma, bacchetta il Belpaese su tutti i fronti: poca attenzione alla qualità dell’aria e dell’acqua, smaltimento non corretto dei rifiuti, inquinamento acustico e campi elettromagnetici. L’analisi non vuole dare i voti alla diverse realtà regionali, hanno precisato gli autori, ma «stimolare i decisori ad azioni concrete partendo da dati analitici». Pur essendoci alcune isole felici, nel nostro Paese l’occhio al verde è a macchia di leopardo; ecco perché l’Osservatorio nazionale sulla Salute della Cattolica non risparmia nessuna regione. Mentre nel campo della salute poi si vedono miglioramenti e differenze tra il Nord virtuoso e il Sud malconcio, nella classifica di merito per le realtà ecoimpegnate invece al primo posto c’è la Basilicata, seguita da Friuli Venezia Giulia, Valle d’Aosta e Trentino Alto Adige, fanalino di coda Sicilia e Lazio. Tra i vari indicatori, però, hanno aggiunto gli studiosi, ogni regione vanta dei fiori all’occhiello in certi settori ed evidenzia forti criticità su altri.Il dissesto ambientale del Paese pesa sempre di più sulla salute degli italiani e, ancor più grave, l’impatto su di essa non è quantificabile da anni perché mancano sistemi di monitoraggio e gestione dei rischi sull’uomo. Per questo, anche per colpa del federalismo, se mancherà il coordinamento tra regioni potrebbero essere vanificati gli effetti di politiche oculate adottate in alcune realtà quando in altre, limitrofe, si continua ad inquinare in modo miope. «Nell’affrontare il rischio ambientale – ha esordito Walter Ricciardi, coordinatore dell’Osservatorio sulla Salute – sono evidenti differenze territoriali, ma in questo ambito il fenomeno della regionalizzazione dei processi decisionali potrebbe aumentare invece che diminuire le lacune esistenti, visto che gli inquinanti non si fermano ai confini regionali e amministrativi».Prendendo il rilevamento della qualità dell’aria il divario è evidente. Pur essendo infatti aumentato del 23% nel 2006 il numero delle stazioni di controllo utilizzate in ambito Eol (European Exchange of Information), oggi a quota 533, il lento trend di crescita riguarda soprattutto la rilevazione di inquinamento da traffico (51%), in misura minore quelle di fondo (22%) e le industriali (12%). Inoltre la distribuzione delle postazioni non è omogenea perché dislocate soprattutto nei grandi centri urbani e per lo più al Nord, con punte di eccellenza di una centralina ogni 30mila abitanti in Valle d’Aosta e maglie nere di una ogni 700mila in Campania. «Nella maggior parte dei casi – ha spiegato Umberto Moscato dell’istituto di Igiene dell’Università Cattolica e coautore del Rapporto – l’ambiente è monitorato solo per obbligo normativo e tale controllo è disconnesso rispetto ad una reale conoscenza del fenomeno salute/malattia nella popolazione. Questi problemi si amplificano se visti in un’ottica di gap tra regioni, considerando che l’inquinamento è un fenomeno globale».Non va meglio se si guarda alla concentrazione di radon, gas naturale radioattivo, nelle nostre città, con il Lazio al top della bad list. Il Rapporto mette in luce un forte ritardo delle realtà locali che devono eseguire una mappatura del territorio e individuare le zone in cui il problema si presenta in modo più rilevante e dove è obbligatorio intervenire. L’esposizione a questo gas, che è cancerogeno, hanno spiegato i ricercatori dell’Osservatorio, è un indicatore della salute dell’ambiente e delle persone. «Il 10% dei nuovi casi di tumore al polmone registrati in Italia – ha sottolineato Antonio Azara, dell’Istituto di Igiene all’università di Sassari e coautore dello studio – è provocato dall’esposizione al radon, gas inquinante presente nelle nostre case a una concentrazione media di 70 Bq/m3 (Becquerel per metro cubo). La percentuale di ammalarsi aumenta del 20% nei fumatori».Situazione ancora più nera per l’inquinamento acustico. I dati a disposizione sono scarsi e spesso poco confrontabili per l’incompleta zonizzazione del territorio (cioè la catalogazione delle aree comunali con diversa protezione dal rumore) e per le differenti tecniche di rilevamento ed elaborazione dei dati. Solo il 31,5% dei Comuni italiani ha infatti approvato la classificazione acustica contro il 17,4% del 2003 e il 10% del 2002. Una risposta in continua crescita, ma ancora troppo legata alla sensibilità e alla lungimiranza delle diverse amministrazioni regionali.
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