Soccorsi nella notte. Il guardaspiaggia Marcial Armas Torres - Francesca Ghirardelli
Non era in servizio quella sera, il guardaspiaggia municipale Marcial Armas Torres. Si trovava con alcuni amici vicino al mare a Órzola, la sua cittadina, sulla punta nord dell’isola, quando ha sentito delle grida provenire dall’acqua. «Chiedevano aiuto, ma era buio, qualcuno agitava cellulari con la torcia attivata» ci racconta dal posto di soccorso della spiaggia di Arrieta dove lavora, sulla costa orientale di Lanzarote.
«Al largo, i migranti avevano seguito le luci delle case, ma non si erano accorti delle rocce vulcaniche sul fondo. L’imbarcazione ci aveva sbattuto contro e si era capovolta. La maggioranza non sapeva nuotare». Senza pensarci due volte, Marcial e i suoi amici si sono tuffati. «In mare non si vedeva nulla, seguivamo i rumori e le urla. Abbiamo cominciato a tirarli fuori a uno a uno dall’acqua, per poi tornare a cercare chi rimaneva».
Quella sera lui e i suoi compagni hanno portato in salvo 24 persone, tutti ragazzini. «Altri sette, però, sono morti. Erano partiti da Sidi Ifni in Marocco, oltre 200 chilometri da qui. È accaduto nel novembre del 2020, ma le barche anche oggi continuano ad arrivare».
Da quell’anno e dal suo picco di 23mila arrivi registrati, la rotta migratoria atlantica delle Canarie è tornata tra le più attive per chi punta a giungere in Europa, facendo di queste isole spagnole sperdute nell’oceano una delle porte d’ingresso più movimentate verso un continente che sorge 1.300 chilometri più a nord.
Dall’inizio del 2022 a fine maggio sono state accolte 8.250 persone. Le tracce delle loro rischiose traversate si incontrano anche sulle spiagge frequentate dai turisti, dalla Caleta del Mero al Caleton Blanco: sono i resti delle barche di legno, le pateras, sventrate o spaccate in due, abbandonate sulla riva o sulle rocce nere vulcaniche.
Esattamente un anno dopo il salvataggio degli amici di Órzola, nel novembre del 2021, dalla cittadina marocchina di Tan-Tan sulla costa africana proprio di fronte a Lanzarote il giovane Dieng, studente senegalese di 27 anni, ha provato per due volte ad attraversare. «I tentativi sono falliti per un guasto e il cattivo tempo» ci racconta.
Aveva lasciato casa sua a inizio 2021 in aereo fino a Casablanca, poi via terra a Tangeri sullo stretto di Gibilterra, dove la Spagna e dunque l’Europa illudono di essere a un passo, visibili a occhio nudo di là dal mare. E invece attraversare era stato impossibile, troppi i controlli e le deportazioni della polizia, dure le condizioni di vita in città. Così dopo 7 mesi, Dieng aveva deciso di cambiare rotta e tentare quella atlantica.
«La sera del 14 dicembre scorso ci abbiamo riprovato più a sud, da El Aaiun. Attorno alle 22 ci siamo mossi con una quindicina di auto verso la costa. Alle 6 del mattino eravamo sulla spiaggia a pompare il gommone. Quando abbiamo preso il mare e lasciato il Marocco il sole non era ancora sorto». A bordo, il sopraggiungere dell’alba ha ammutolito tutti. «Con la luce, non si vedeva attorno niente se non l’immensità del blu. Solo acqua. In un momento come quello, inizi a immaginare cosa può accadere se ci cadi dentro. Lì la paura è totale. Si prova un panico senza limiti in mezzo al mare, quando la vita e la morte hanno le stesse chance di presentarsi».
Dieng racconta del pianto delle donne, e di avere visto anche le lacrime di alcuni uomini. Con gli altri passeggeri, 58 in tutto, tre i bambini, Dieng ha percorso 174 chilometri fino a Fuerteventura. «Alle 17.40 di quello stesso giorno il nostro gommone è stato localizzato. L’acqua era calma e siamo arrivati salvi, una gioia estrema. C’erano grida di esultanza a bordo, con i telefoni abbiamo scattato foto. E abbiamo ringraziato Dio».
Sono seguiti i giorni sotto custodia della polizia, tre mesi in un centro per migranti sull’isola, poi il trasferimento a Lanzarote per altri due mesi. «Ovunque l’accoglienza è stata buona» assicura. Alla fine, il 13 maggio, Dieng è stato trasferito a Madrid. Prima di augurargli buona fortuna per la nuova vita, gli chiediamo qualche dettaglio sulla traversata: «Il prezzo varia da 1 a 2 milioni di Franchi Cfa, tra i 1.500 e i 3.000 euro. Io ho pagato 1.500 euro. Chi fornisce il passaggio compra il gommone, il motore e il carburante, ma non parte. A condurre l’imbarcazione in genere è uno dei passeggeri, che così non paga, qualcuno con esperienza di mare, pescatori di Senegal o Guinea che se ne vanno perché la vita là è troppo complicata».
Sfidare le acque dell’oceano su un mezzo di appena 9 metri, come quello di Dieng, rappresenta un rischio altissimo. «Dopo gli ultimi arrivi, siamo molto preoccupati per le barche che i migranti hanno iniziato a utilizzare, gommoni e mezzi troppo precari per questo tipo di traversata» ci spiega José Antonio Rodríguez Verona, responsabile della prima emergenza per la popolazione immigrata alla Cruz Roja delle Canarie. «Inoltre vediamo approdare più famiglie al completo, mentre in precedenza si muoveva solo un componente del nucleo familiare».
La Croce Rossa spagnola interviene ad ogni sbarco con un triage sanitario, un rifornimento di vestiti e, quando necessario, il trasferimento in ospedale. «Se i migranti giungono sulle isole più vicine alla costa africana, Lanzarote e Fuerteventura, la traversata richiede meno tempo e se tutto va liscio si arriva in buona salute. Chi giunge a Gran Canaria, Tenerife, La Gomera o Hierro sperimenta tragitti più lunghi, molto difficili. Sono numerose le occasioni in cui, purtroppo, vediamo arrivare cadaveri o persone in condizioni così gravi da richiedere stabilizzazioni sanitarie serie sul molo o sulla spiaggia».
All’interno di una patera squarciata e abbandonata sulla sabbia della Caleta del Mero, qualcuno ha costruito una piccola croce con le assi di legno che si sono staccate dallo scafo. Ci ha scritto sopra in spagnolo una frase che non può sfuggire a chi passa di lì, gente del posto o turisti in arrivo da mezza Europa: «Recuerda, todos sangramos el mismo color. Ricorda, sanguiniamo tutti dello stesso colore».