Fu il primo giornalista ad entrare. Quando lo scoppio dilaniò la città e strappò la vita di 16 innocenti, lui era a pochi metri. Impegnato come sempre a fare il suo mestiere: quello di cronista. Gigi De Fabiani, già vice direttore di Avvenire, quel pomeriggio del 12 dicembre 1969 era in arcivescovado a Milano. Il portone d’ingresso derlla Curia a 20 metri dall’entrata della Banca nazionale dell’Agricoltura. Gigi era lì perché era il capo della cronaca di Milano ed era andato in piazza Fontana 2 a ritirare il testo di un discorso del cardinale Giovanni Colombo. Allora i computer erano ancora da venire e l’arcivescovo, una persona molto precisa, rivedeva personalmente i testi pronunciati prima di consegnarli per la pubblicazione. De Fabiani, ancora oggi, a 40 anni di distanza, ha chiaro nel ricordo la tragica concatenazione dei fatti. «Ero in cortile – spiega – e stavo parlando con Mapelli, l’autista dell’arcivescovo. All’improvviso un boato tremendo, un’esplosione terribile: tutti ammutolimmo e restammo per un attimo come paralizzati. Poi io mi precipitai in banca » . E qui ad attenderlo, De Fabiani trovò l’orrore. Ancora oggi, a distanza di tanto tempo, la voce si incrina al ricordo: quella scena di umanità violata lo turba ancora. « Un quadro di dolore, di strazio – ricorda – che non mi dimenticherò mai e che mi appare davanti agli occhi come se fosse passato pochissimo tempo. Persone a terra che piangevano che chiedevano aiuto, che si lamentavano negli ultimi istanti della loro vita. Con me, tra i primi ad entrare vi fu un sacerdote, don Corrado Fioravanti. Lo rivedo chinarsi su un uomo che spirava dicendo 'Mio Dio ho undici figli ...'. E poi un bambino che urlava, un giovane che chiedeva aiuto, corpi dilaniati... un caos indescrivibile» . Passato il primo momento di choc, De Fabiani si mise ad aiutare come poteva fino all’arrivo, pressoché immediato delle prime ambulanze. « Mi ricordo che volevano farmi uscire, io non volevo andarmene ma sopraggiunse il vicario generale, monsignor Giuseppe Schiavini che mi disse di andare a parlare con il cardinale. Mentre parlava, Schiavini piangeva » . Il capocronista si precipitò dall’arcivescovo e il presule, non appena saputo cosa era accaduto volle scendere nella banca lui stesso. « Appena entrato – ricorda ancora Gigi – davanti a quelle scene di dolore e di morte si fermò, si inginocchiò per terra e incominciò a pregare. Erano orazioni strane: gli uscivano dal petto come singulti. Lo vidi accarezzare uno, due, tre e tanti altri feriti morenti e gravi. Infine la benedizione mentre nella sala terrena della banca c’era solo odore di morte » . Poi la corsa al giornale dove ancora non era ben chiaro cosa fosse accaduto: i primi resoconti parlavano infatti dell’esplosione di una caldaia. « Raccontai ogni cosa e al termine mi sentii male per l’emozione e il dolore; svenni. Mi ricordo che ripresi i sensi su una barella: volevano caricarmi in ambulanza e portarmi all’ospedale ma non ne volli sapere. Mi rialzai e tornai alla mia scrivania a raccontare quanto avevo visto, il male fatto a tutta quella povera gente » . L’ultimo fotogramma è per il giorno dei funerali, l’austera commozione della città e il suo desiderio di verità così bene interpretati dall’arcivescovo. « Mi ricordo il cardinale Colombo che ripeteva: giustizia, giustizia, giustizia di fronte alle bare e ai volti dei parenti degli uccisi. Purtroppo – conclude Gigi De Fabiani – ancora oggi giustizia non è stata fatta » .