«Saranno quattro i nuovi Centri di identificazione ed espulsione degli immigrati irregolari: in Campania, Toscana, Marche e Veneto». L’annuncio è di Alfredo Mantovano, sottosegretario all’Interno.
Con quali criteri avete fatto questa scelta?Si tratta di aree che sono sprovviste di un Cie, ma che non sono sprovviste della presenza di immigrati irregolari. Il problema è che in mancanza dei Centri si va incontro a un dispendio di risorse, dovendo accompagnare queste persone nelle strutture di altre regioni.
Come procederete?Siamo in contatto con le istituzioni del territorio. I finanziamenti ci sono. Si tratta, nel giro di qualche mese, di passare dalla individuazione delle aree alla costruzione delle strutture o alla trasformazione di edifici esistenti in Cie. Non prevedo tempi lunghi.
Negli ultimi giorni vi sono state diversi tentativi di fuga di massa. Pensa che dietro le proteste vi sia una "regia unica"?Non ci sono elementi per affermare che vi sia un "coordinamento" dei tentativi di fuga dai Centri di identificazione ed espulsione. Certo non lo si può escludere a priori, vi sono indagini in corso che potranno meglio approfondire, ma direi che si tratta di episodi che si ripetono ogni anno.
Dopo una periodo di relativa calma ci sono stati alcuni sbarchi di immigrati. La "tregua" è rotta?Il ritorno di questi episodi, numericamente non paragonabili a quelli del passato, riguarda soprattutto imbarcazioni provenienti da Turchia e Grecia. Oltre che di carattere quantitativo la differenza è anche nella strategia usata dai trafficanti. Oggi non è raro trovare clandestini dentro a yacht o barche a vela, scelti dagli "scafisti" per confondersi con le imbarcazioni da diporto.
Se è vero che dalla Libia non salpano più barconi carichi di persone, non si può nascondere che nei campi libici gli immigrati sono rinchiusi in condizioni spesso disumane. Pensate di fare qualcosa?Ci aspettavamo segnali di intervento da parte dei Paesi e delle istituzioni dell’Unione Europea, invece l’Italia è lasciata da sola. Per esempio l’accordo con Libia prevedeva la compartecipazione agli oneri da parte dell’Unione. L’Italia ha fatto la sua parte, ma da Bruxelles non sono mai arrivati i 250 ilioni di euro che pure l’Ue si era impegnata a corrispondere. Per esempio noi intendiamo garantire il riconoscimento dello status di rifugiato e l’ideale sarebbe farlo con commissioni presenti nel territorio libico per valutare le domande di asilo. Tutto questo appartiene a iniziativa che non può essere promossa solo dall’Italia.
In Francia sono cominciati i rimpatri forzati dei rom. Volete seguire l’esempio di Parigi?No, perché il limite principale di quella operazione è che una parte significativa dei rom sono cittadini comunitari e per il loro allontanamento sono previsti presupposti rigidi, mentre non si può agire con espulsioni come per gli extracomunitari. Piuttosto pensiamo di proseguire sulla strada intrapresa a Roma, chiudendo progressivamente quei campi rom che rappresentano una vergogna, come il "Casilino 900", nelle quali persone oneste vivevano in mezzo ai liquami. Ora abitano in villaggi più decorosi e civili. Soprattutto adesso, grazie al volontariato e alle istituzioni locali, bambini e ragazzi vengono avviati alla scuola e questo è un obiettivo importante, un esempio positivo che può essere da riferimento per altre realtà.