mercoledì 1 giugno 2011
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«Sono piuttosto scettico su questi dati. Credo siano frutto più del pregiudizio di chi componeva la commissione che risultati certi di esperimenti scientifici». Carlo La Vecchia, epidemiologo dell’Istituto di ricerche farmacologiche «Mario Negri» e dell’Università degli Studi di Milano, non è per nulla convinto dell’allarme lanciato dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) su un possibile legame tra uso dei cellulari e tumori. Come dobbiamo valutare i risultati del gruppo di ricerca dell’Oms? Questo gruppo di lavoro si è occupato di onde radio, di dispositivi wireless e cellulari e ha classificato i telefonini nel gruppo 2B, cioè come possibili cancerogeni. Ma in realtà credo che non ci si debba preoccupare, e non solo perché si tratta di un gruppo di rischio basso. Perché?Perché credo che il gruppo di lavoro sia stato fortemente influenzato da persone orientate aprioristicamente verso l’idea che i cellulari comportino un rischio per la salute. Lennart Hardell, per esempio, da anni supporta teorie che però non sono confermate dai dati di altri studi. E al contrario non sono stati inclusi altri studiosi che la pensavano in modo differente. A cominciare dal massimo esperto svedese, Anders Ahlbom, allontanato perché parte dei suoi studi sono stati supportati da gestori di cellulari. Di possibili danni dei cellulari in realtà si parla da tempo: non si riescono a trovare prove convincenti?Vorrei ricordare che le onde radio sono in giro da più di cento anni. E il campo di una radiosveglia è superiore a quella di un cellulare. Le celle dei telefonini non superano il chilometro, e i campi non devono superarle, mentre le onde radio televisive sono molto più potenti: da corso Sempione a Milano devono raggiungere tutta la Lombardia.
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